Introduzione al Libro “Wu-Wei” di Henri Borel.
La deliziosa Fantasia su Wu-Wei , “L’Agire Senza Agire” ispirata dalla filosofia di Lao-Tze dell’insigne orientalista e scrittore olandese Henri Borel, che presentiamo ai lettori italiani, è scritta in modo così semplice e limpido che sembra non richiedere alcun commento.
Wu-Wei
La filosofia su cui si basa è sottile e non sempre facile da afferrare, e poiché dei fraintendimenti possono portare a giudizi ingiusti e – quel che è peggio – a deduzioni pratiche e ad atteggiamenti pericolosi nella vita, riteniamo non inutili alcuni chiarimenti e precisazioni.
La concezione di Lao-Tze più spesso e più grossolanamente fraintesa, è proprio quella del Wu-Wei, per l’impropria traduzione che ne è stata data con la parola “inazione”. Wu-Wei significa in realtà: azione compiuta senza uno sforzo teso, violento e personale, ma per spinta interiore, per impulso spirituale. La migliore espressione per designare Wu-Wei è quella adottata da Evola di “agire senza agire”. È un’espressione paradossale, un apparente non senso: ma in questo appunto sta il suo pregio.
Il Lavoro dei Paradossi
Proprio per il fatto che il lettore – che comprende che l’accoppiamento dei termini contraddittori non può essere in questo caso una sciocchezza o uno scherzo – è così indotto, anzi obbligato, a riflettere, a cercare di scoprire il significato profondo dell’apparente contraddizione. Le verità spirituali sono di un ordine così radicalmente diverso da quello delle piccole “verità” empiriche e umane, sono così incommensurabili con esse, che il linguaggio corrente, fatto per designare queste, è del tutto inadeguato ad indicare quelle.
Perciò tutti gli Istruttori Spirituali nel loro travaglio per esprimere l’ineffabile, per designare con parole concrete e umane l’Illimitato e il Trascendente, hanno cercato di valersi di due mezzi: il simbolo e l’espressione paradossale.
Tutte le scritture spirituali e religiose sono piene di paradossi. Nelle Upanishad ATMAN, il Supremo Sé, è detto “più piccolo del piccolo, più grande del grande”, e nel Vangelo troviamo: “Io sono la resurrezione e la vita; chiunque crede in me, quand’anche fosse morto vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai”. (Giov. XI, 25-26).
Ma in nessuna scrittura i paradossi abbondano come nel Tao-Te-King di Lao-Tze. Egli è l’artista, direi quasi il virtuoso, del paradosso, aiutato in ciò anche dall’indole della lingua cinese che vi si presta in modo speciale.
Perfino la sua nascita è stata considerata paradossale; infatti secondo una leggenda, egli nacque con i capelli bianchi e saggio come un vecchio, e perciò soprannominato Lao-Tze, che vuol dire “fanciullo vecchio”, ciò che bene indica l’unione di una piena maturità spirituale e di una giovanile semplicità che lo caratterizzano.
Le Norme
Quali aiuto alla retta comprensione dei paradossi, e particolarmente di quelli di Lao-Tze, possono servire le seguenti norme:
- Quando si trovano espressioni contraddittorie come ad esempio “agire senza agire”, si prenda uno dei termini in senso spirituale, essenziale e interiore, e l’altro in senso umano, contingente ed esteriore.
- Un altro modo è quello di ricercare un principio superiore, di un livello spirituale più alto, che risolva in sé, unificandoli in una sintesi creativa, i termini opposti.
Per “l’agire senza agire” tale principio sarebbe la pura attività e potenza spirituale, che ha in sé elementi e qualità tanto dell’azione ordinaria (efficacia) quanto dell’inazione (assenza di sforzo o di tensione, di fatica), ma che li trascende entrambi nella sua qualità e nei suoi effetti.
Il Vero Significato
Inoltre non bisogna soffermarsi e impuntarsi a voler giudicare e criticare un’espressione isolata dal contesto, avulsa dall’insieme dell’opera.
Il vero significato di ogni parola o frase singola risulta solo dalla lettura dell’intero scritto fatta con mente aperta, con intuizione sveglia, con simpatia interiore.
Infine bisogna usare, ogniqualvolta sia possibile, il criterio pragmatico: cioè osservare come vengano applicati alla vita – da coloro che li hanno espressi originariamente, o che ben li comprendono – i principi paradossali o, apparentemente, estremi.
Applichiamo questi criteri alla Fantasia ispirata dalla filosofia di Lao-Tze, esaminando alcune delle frasi che più possono meravigliare o sviare il lettore frettoloso o non comprensivo, e “dare scandalo” a quello malevolo.
Quando il vecchio Saggio dice “gioia e dolore non sono reali”, bisogna ricordare il senso profondo che gli Orientali sogliono dare alla parola “Reale”. Secondo loro, Reale è solo ciò che è permanente, stabile, immutabile ed eterno; cioè la sostanza spirituale del mondo e delle anime.
Da questo punto di vista, gioia e dolore possono ben essere chiamati “irreali”, senza per questo negare in alcun modo l’esistenza soggettiva della sofferenza umana, la sua realtà psicologica, e senza quindi diminuire la compassione che essa ispira, lo slancio per alleviarla.
Si riconosce soltanto che gioia e dolore sono reazioni transitorie, rapporti temporanei di armonia o di disarmonia fra l’individuo e il mondo, stati di appagamento o di inappagamento di tendenze, bisogni e aspirazioni vitali.
E questo riconoscimento del carattere relativo e contingente del piacere e del dolore personale, è un grande aiuto per liberarsi dagli attaccamenti che asserviscono, e dalle paure che tormentano e che paralizzano.
Nello stesso modo ampio e superiore va inteso quello che dice sull’Amore il vecchio Saggio, il quale, mentre sembra dapprima negarlo, in realtà ne rivela l’intima natura, l’essenza profonda, ed eleva un inno all’Amore trasumanato e trasfigurato, di un’altezza veramente platonica.
A qualcuno potrà sembrare un’amara e urtante ironia parlare del mondo quale “un grande santuario saggiamente concepito e sicuramente vigilato come una dimora stabile e ben ordinata”, mentre esso ci appare pieno di conflitti e di confusione, implicato in un complesso e agitato travaglio.
Ma quell’affermazione, così contraddetta dalle apparenze del momento, può contenere una verità superiore, indicare anzi il significato profondo e la giustificazione del nostro travaglio attuale, quale una “crisi di crescita”, quale un inconscio impulso di superamento delle attuali condizioni, e quale avviamento ad un migliore e più armonico ordine di vita.
È il caos apparente, la confusione feconda del cantiere ove si sta costruendo faticosamente il “Santuario”, la “dimora stabile e ben ordinata” della nuova Umanità.
Il Vero Animo del Saggio
Queste interpretazioni sono confermate dal criterio pragmatico suaccennato.
Il contegno del Saggio, quale risulta dalla narrazione, dimostra che l’animo di lui non è affatto duro, freddo e insensibile.
Egli non solo impartisce di buon grado al giovane europeo i suoi tesori spirituali, ma ha per lui piccole attenzioni e cure quasi materne.
Lungi dal cercare di staccarlo violentemente dalla vita ordinaria, come avrebbe potuto tentare di fare un Istruttore fanatico e intransigente, Egli lo rimanda nel mondo per farvi le esperienze a lui ancora necessarie, per compiervi il suo sviluppo interiore. E gli mostra il suo affetto paterno addolcendogli la pena del distacco col dono generoso della mirabile opera d’arte che gli era tanto cara…
Liberiamoci una volta per sempre dal falso e dannoso preconcetto che le concezioni spirituali rendano inumani e separino dalla vita; esse invece ci rivelano il vero significato di noi stessi, degli altri e del mondo e ci aiutano a vivere in modo più saggio, più nobile, più generoso.
ROBERTO ASSAGIOLI
INTRODUZIONE AL LIBRO “WU-WEI”
(Archivio Assagioli – Firenze)
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