Quante volte ci sentiamo come una brava persona perché ci sembra di fare tanto per gli altri. Ci sentiamo virtuosi, buoni nel dedicarci ai loro problemi e necessità.

Ma siamo sicuri che ciò che facciamo sia realmente per il loro bene? O piuttosto è una nostra esigenza, mascherata da altruismo, buonismo, dedizione…

Se veramente si fa qualcosa per gli altri, non ci sarebbero aspettative, il semplice farli stare bene sarebbe sufficiente. Nulla ci sarebbe dovuto, neppure un grazie.

Invece, nella normalità dei casi, di fronte all’indifferenza, alla mancata riconoscenza nei confronti di un nostro cortese gesto, ci sentiamo trascurati, per non dire offesi. Spesso quando ci si dedica agli altri si parte da una posizione di superiorità e, se non ci si sente adeguatamente apprezzati per questo nostro virtuosismo, cominciano a risuonarci in testa ritornelli del tipo “ecco, ho fatto di tutto per lui/lei e guarda che ringraziamento!”

Una volta che questo ragionamento inizia, significa che ci si è abbandonati alla considerazione interiore. Perché in realtà dietro ad ogni gesto, ad ogni attenzione, ad ogni pensiero rivolto verso esterni c’è sempre una sorta di ritorno verso noi stessi.

Il nostro ego viene nutrito da questi atteggiamenti, ci crogioliamo nell’autocompiacimento.

Facciamo i complimenti a noi stessi per quanto siamo stati bravi, e se gli altri non ci dimostrano gratitudine ci sentiamo in dovere di offenderci da tanta noncuranza. E offendersi è estremamente facile. Non esige nessuno sforzo cosciente. È, come tante altre, una reazione meccanica.


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