La Teoria Quantistica della Coscienza, meglio nota come Teoria di Penrose-Hameroff, dimostrerebbe che l’anima umana esiste grazie al funzionamento delle leggi della fisica quantistica: con la morte fisica le informazioni quantistiche che formano questa struttura non vengono distrutte, ma lasciano il sistema nervoso per essere riconsegnate all’Universo.

La Teoria di Penrose-Hameroff prende il nome dal fisico inglese Sir Roger Penrose e il medico americano Stuart Hameroff, professore emerito presso il Dipartimento di Anestesiologia e Psicologia e direttore del Centro di Studi sulla Coscienza all’Università dell’Arizona. Secondo questa teoria le nostre anime sarebbero inserite all’interno di strutture chiamate microtubuli contenute nelle cellule cerebrali.

Teoria Quantistica della Coscienza

L’idea dei due scienziati nasce dal considerare il nostro cervello come una sorta di “computer biologico”, composto da una rete di informazione sinaptica che coinvolge più di 100 miliardi di neuroni. Secondo Penrose e Hameroff un approccio meccanico quantistico applicato alla coscienza può spiegare tutte le manifestazioni del comportamento umano, compreso il libero arbitrio. Il cervello sfrutterebbe, infatti, la proprietà dei sistemi fisici quantistici di trovarsi in uno stato sovrapposto multiplo, principio di sovrapposizione, al fine di esplorare una serie di opzioni diverse in un piccolo lasso di tempo. Essi sostengono che la nostra esperienza di coscienza sia il risultato dell’interazione tra le informazioni quantistiche e i microtubuli, un processo che i due hanno definito Orch-OR (Orchestrated Objective Reduction).Teoria Quantistica della Coscienza

Il nucleo centrale dell’ipotesi è che la coscienza nel cervello origini da un processo che avviene all’interno dei neuroni, piuttosto che dall’interazione tra di essi. La Teoria Quantistica della Coscienza ipotizza che la tubulina (proteina globulare alla base delle strutture del citoscheletro) in un neurone sia in correlazione quantistica (azione fantasmatica a distanza) con la tubulina degli altri neuroni. Quindi, se tutti i neuroni nel cervello sono uniti da questo entanglement, allora potrebbero interconnettere tutta l’informazione codificata in nervi separati, e di conseguenza superare il problema del collegamento, così come tutti gli impulsi provenienti dai diversi sensi e dalla memoria (sono impulsi isolati) generano la percezione unitaria dell’oggetto, dell’animale, della persona.

Con la morte corporea i microtubuli perdono il loro stato quantico, ma le informazioni in essi contenute non vengono distrutte. In parole povere, più legate a un linguaggio comune, l’anima non muore, ma torna alla sua sorgente.

“Quando il cuore smette di battere e il sangue non scorre più, i microtubuli smettono di funzionare perdendo il loro stato quantico”, spiega Hameroff. “L’informazione quantistica all’interno dei microtubuli non è distrutta, non può essere distrutta, ma viene riconsegnata al Cosmo. Quando un paziente torna a vivere dopo una breve esperienza di morte, l’informazione quantistica torna a legarsi ai microtubuli, facendo sperimentare alla persona i famosi casi di premorte”.

La grande portata di questa teoria è evidente: la coscienza umana non si esaurisce nell’interazione tra i neuroni del nostro cervello, ma è un’informazione quantistica in grado di esistere al di fuori del corpo a tempo indeterminato.  Questa teoria scientifica si avvicina molto alla concezione religiosa orientale dell’anima. Secondo il credo buddista e induista l’anima è parte integrante dell’Universo ed esiste al di fuori del tempo e dello spazio.

L’esperienza corporea (o anche terrena, materiale) non sarebbe altro che una fase dell’evoluzione spirituale della coscienza umana.


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