San Valentino oggi è soprattutto sinonimo di consumismo e romanticismo a buon mercato, ma non è sempre stato così.
L’antico popolo romano dal 13 al 15 febbraio, mese purificatorio, celebrava i Lupercalia, festa dedicata al dio Fauno nella sua accezione di luperco, ovvero protettore del bestiame ovino e caprino dall’attacco dei lupi, che solitamente avveniva nell’arco di questo periodo.
Secondo un’altra ipotesi, avanzata da Dionigi di Alicarnasso, i Lupercalia ricordano il miracoloso allattamento dei due gemelli Romolo e Remo da parte di una lupa che da poco aveva partorito.
Si dice, inoltre, che questa festa fosse dedicata anche a Giunone, a cui, nei pressi del bosco sacro alla dea ai piedi dell’Esquilino, si rivolgevano uomini e donne desiderosi di avere figli.
Fu così che, si tramanda, ebbe origine la celebrazione, in questi giorni di giubilo, di una sorta di lotteria della fertilità, un rito, retaggio del culto della Dea Madre, professato dagli Oschi, un antico popolo italico, proveniente dalle valli del Volturno e del Sangro, e che fu poi inglobato nella leggenda di Romolo e Remo.
In un’urna erano posti i nomi degli aspiranti fauni e di altrettante vergini fanciulle, rappresentanti le lupe-ninfe che volevano essere fecondate. Un fanciullo procedeva all’estrazione delle coppie sacre, che per un anno intero avrebbero vissuto insieme in intimità, affinché il rito fosse concluso. In questi riti l’amore si profila, più che come il sentimento che oggi conosciamo, come la forza fecondante e generatrice della Natura.
In una società costantemente minacciata dalla morte, fra genti continuamente decimate da guerre, pestilenze e carestie, l’amore era percepito specialmente come potenza e forza necessaria e indispensabile alla sopravvivenza, celebrando la vita che continua in tutta la sua potenza.
Quella dei Lupercalia era una tra le feste più radicate nel cuore del popolo romano, tanto che si celebrava ancora nel V secolo d. C., nonostante quasi tutta la popolazione fosse ormai cristiana.
La Chiesa Cattolica, intenta ad abolire tale deprecabile ricorrenza, si trovò in una posizione scomoda: non poteva proibire i giorni dei Lupercalia senza scatenare una sommossa popolare, né poteva tollerarli, poiché questo avrebbe significato una sconfitta, il rischio di un seme pagano in un regno invece unito sotto la nuova Croce.
Era necessario sostituire la festività con una celebrazione simile e soprattutto altrettanto amata, ma quale?
Qualcuno si ricordò di un santo martire perfetto per l’occasione, amato dal popolo, pio e protettore delle giovani coppie: San Valentino da Terni o San Valentino da Interamna.
La leggenda narra che Valentino si convertì giovanissimo al Cristianesimo e che la sua fede fosse tanto ardente da procurargli la nomina a Vescovo a soli 25 anni, nel 197 d. C..
A quel tempo la religione Cristiana era ancora illegale nell’Impero, così il giovane vescovo finì per essere arrestato. Invece di abbattersi, Valentino tentò di convertire al Cristianesimo l’Imperatore Claudio II, senza successo. In compenso questi lo graziò, affidandolo ad Asterius, un nobile romano, padre di una dolce fanciulla cieca. Secondo la leggenda tra Valentino e la giovane nacquero teneri sentimenti, tali che egli, grazie alla sua fede, la guarì.
Ciò che tuttavia rese il vescovo Valentino protettore degli innamorati non è un miracolo, ma un semplice atto d’amore che gli costò la vita.
Un giorno si recò da lui una giovane e nobile cristiana gravemente malata, Serapia. La fanciulla era innamorata di un giovane centurione, Sabino, di religione pagana. È facile immaginare come le nozze dei due fossero ostacolate, tanto più che i matrimoni tra cristiani e pagani erano proibiti. Valentino accolse i giovani a braccia aperte, e, dopo aver battezzato Sabino, li unì in matrimonio.
La famiglia del centurione, informata a fatto compiuto, denunciò il vescovo. Valentino fu arrestato insieme ai due giovani, e tutti e tre furono decapitati. Decapitazione che avvenne il 14 di febbraio, proprio il giorno adatto per far sì che la commemorazione del Santo potesse ben sostituire le celebrazioni dei Lupercalia.
Con la stessa facilità con cui gli antichi popoli latini avevano dimenticato Fauno in favore di Pan, i Romani accolsero San Valentino, che assunse ufficialmente il suo ruolo di protettore degli innamorati, e dimenticarono Luperco.
Ma, a dispetto dei nomi, il 14 Febbraio si continuò a festeggiare l’amore e la vita che si rinnova, sebbene con rituali diversi. La forza primordiale della Natura si era trasformata in un sentimento potente, capace di operare miracoli nell’animo umano e nell’ambiente circostante, e capace di infondere nei cuori il coraggio sufficiente a sfidare e vincere la morte, continuando così la tradizione dei Lupercalia, nella quale esso è la Forza-Motore della Vita oltre e al di sopra di ogni legge.
San Valentino, infatti, raggiunse il suo momento più alto nel periodo apparentemente meno appropriato: il Medioevo, il periodo di maggior repressione, quel secolo marchiato come buio, fosco e triste. Pare, infatti, che il 14 Febbraio fosse dedicato agli innamorati già dal II Millennio, in cui vi era l’usanza di scambiarsi delle Valentine, o carte amorose, in occasione di questa ricorrenza.
La più antica Valentine di cui sia rimasta traccia risale al XV secolo e fu scritta da Carlo d’Orléans, mentre era detenuto nella Torre di Londra, in seguito alla sconfitta nella battaglia di Agincourt (1415), e dedicata a sua moglie.
Inoltre, il 14 Febbraio del 1400 fu fondato, a Parigi, un organo molto importante che fa invidia alla nostra illuminata epoca moderna: l’Alto Tribunale dell’Amore, un’istituzione ispirata ai principi dell’amor cortese. Un tribunale che aveva lo scopo di decidere su controversie legate ai contratti d’amore, ai tradimenti, e alla violenza contro le donne. I giudici erano selezionati sulla base della loro familiarità con la poesia d’amore.
In epoca romantica questa celebrazione raggiunge il suo apice. A metà del XIX secolo furono prodotti i primi biglietti di San Valentino in tiratura industriale, e commercializzati. Da lì ai regali costosi e al consumismo odierno il passo fu breve.
Ma la Forza dell’Amore si fa ancora oggi beffe dei poveri piccoli umani, tornando a bussare ogni anno, insieme ai primi teneri germogli e i timidi fili d’erba, a prova della Vita che si genera e rigenera sempre da se stessa.
Questa festa, al di là di come viene comunemente percepita al giorno d’oggi, dovrebbe essere un monito per noi stessi, per ricordarci che, come all’esterno, così al nostro interno sono presenti un principio maschile e uno femminile, specchio delle divinità antiche, e che ambire all’equilibrio e alla celebrazione dell’intimità interiore non è una perdita di tempo. Allo stesso modo è importante fare uno sforzo per cercare di comprendere, nelle relazioni con gli altri, chi abbiamo di fronte, ovvero nient’altro che il nostro riflesso.
Tentare di andare oltre le apparenze e fare appello a quella parte di noi, che sa esattamente cos’è l’amore, il cui vero significato è andato perduto. E che questa riflessione possa essere d’auspicio per intraprendere quel percorso che ci permetta di capire chi veramente siamo.
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