Il mito tradizionale è sempre una chiave, che appartiene al mondo dell’esoterismo. Il mito, propriamente parlando, non è altro che la parola, la più ricca fonte di informazioni della storia umana.

Da sempre i Simboli, i Miti e gli archetipi, sono stati sinonimo di mistero da un lato e semplicità dall’altro, tanto che per questi due motivi essi sono passati, rispetto alla scienza e alla comunità umana (occidentale), in secondo piano. Molto del materiale umano, artistico, filosofico, antropologico e psicologico ha la sua ragione di esistere in corrispondenza della forza dei miti e dei simboli, dei sogni, delle leggende, delle fiabe di ispirare l’animo umano.

Molti simboli operano a livello inconscio, o meglio, sono recepiti dalla parte destra del cervello. La vista è il canale privilegiato dai simboli, l’udito lo è per i miti o le leggende, soprattutto quelle di natura non scritta. Si insiste molto nei riti di iniziazione, ad esempio in quello di Eleusi o in quelli egizi di Osiride, nel trasformare il mystes (l’iniziato ai misteri), i cui occhi erano chiusi e velati, in epoptes (veggente).

Questo passaggio importante è testimoniato da alcuni simboli, come quello della Luce, dell’Occhio, dell’Acqua (nel battesimo), e via dicendo. Possiamo dire che miti e simboli sono il sogno ricorrente dell’intera umanità, che a un livello profondo percepisce i medesimi stimoli e le medesime sensazioni di natura simbolica. Spesso i significati originari dei simboli si sono perduti nel tempo, o sono stati sostituiti, camuffati, o si sono evoluti.

“Tutto cambia pur rimanendo uguale”, è un altro modo di intendere la rilettura di taluni simboli o archetipi. È dunque un viaggio interiore, dove si annullano i confini spaziotemporali, dove tutto ritorna all’origine, dove l’identità si frantuma, per integrarsi alla fonte di origine universale e uscirne più completa, forgiata.

Esoterismo deriva dal greco esoterikos, “interno”, usato per indicare gli insegnamenti riservati a una cerchia ristretta di allievi. Quegli insegnamenti che nell’antichità greca i filosofi come Pitagora e Aristotele impartivano ai soli discepoli, atti a comprendere i segreti della natura. Tutto nel mondo che ci circonda è in relazione costante. Tutto ciò che esiste nell’universo è costituito dagli stessi elementi fondamentali, dall’aria, dall’acqua, dal fuoco e dalla terra. Gli elementi cambiano semplicemente disposizione elettronica, assumendo varie forme, ma ciò che permette questo è il legame che si stabilisce tra di essi, sia a livello microscopico che macroscopico.

L’individuo (individuus = indivisibile) è un sistema energetico che appartiene al Tutto, una particella infinitesimale dell’Immensità. Noi non possiamo considerarci separati da quanto ci circonda. Ecco perché gli antichi vivevano in armonia con la natura, erano a conoscenza delle leggi universali che regolano il Cosmos.

In tutte le discipline iniziatiche la Verità nascosta (o l’occulto segreto) è rappresentata da una perdita subita dall’umanità ai suoi primordi, il cui ricordo e senso si sarebbero perpetuati sino al nostro tempo attraverso gli antichi misteri, come la Qabbalah, l’Alchimia, l’Ermetismo, la Gnostica, il Sufismo, e molti altri veicoli ancora. Ciò che accomuna tutte queste discipline è che dietro un significato primario e apparente (profano ed essoterico, riservato ai più) si cela sempre un senso secondario e profondo, esoterico.

Infatti l’etimologia della parola si riferisce a una conoscenza “interna”, cioè interiore, nascosta. Il passaggio da una conoscenza essoterica a una esoterica avviene con l’iniziazione tramite simboli. Il simbolo permette di veicolare in modo sottile e nascosto un messaggio iniziatico. Pertanto il significato di un simbolo mette in superficie una conoscenza sepolta ricollegandola a miti, riti e leggende.

L’esoterismo utilizza come simboli sia elementi naturali, come forme, animali, piante, sia elementi inventati dall’uomo, come oggetti, strutture geometriche, trasformandoli in codici universali. Una stessa nozione può essere espressa con simboli differenti, i collegamenti possono essere invisibili, ma ci sono sempre, sepolti appena sotto la superficie, per questo motivo i simboli esoterici esigono un lavoro di interpretazione.

Un mito (dal greco μύθος, mythos, pronuncia müthos) è una narrazione investita di sacralità relativa alle origini del mondo o alle modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente in un certo contesto socio culturale o in un popolo specifico. Di solito i suoi protagonisti sono dèi ed eroi come testimoni delle origini del mondo in un contesto sacrale.

Spesso le vicende narrate nel mito hanno luogo in un’epoca che precede la storia scritta. Nel dire che il mito è una narrazione sacra s’intende che esso viene considerato verità di fede e che gli viene attribuito un significato religioso o spirituale. Ciò naturalmente non implica né che la narrazione sia vera, né che sia falsa. Al tempo stesso il mito è la riduzione narrativa di momenti legati alla dimensione del rito, insieme al quale costituisce un momento fondamentale dell’esperienza religiosa, volta a soddisfare il bisogno di fornire una spiegazione a fenomeni naturali o a interrogativi sull’esistenza e sul cosmo.

Il Mito Tradizionale è sempre una chiave, il servirsi della quale è impresa di pochi, perché appartiene al mondo dell’esoterismo. Il vocabolo “mito” deriva dal greco màtoj, cioè racconto, favola. Il mito, propriamente parlando, non è altro che la parola, la più ricca fonte di informazioni della storia umana. Esso può essere considerato un racconto sacro che svela dei misteri e che dà la risposta a molti interrogativi degli uomini: come sono nati l’universo e l’uomo, come hanno avuto origine gli astri e la terra, le piante e gli animali, e spiega come si sono formate le società civili con l’aiuto degli eroi.

La mitologia è nata con l’uomo e si può considerare un linguaggio segreto e un elemento necessario della religione, per tramandare di generazione in generazione gli insegnamenti profondi sulle origini delle cose, sulla creazione del mondo, dell’uomo, della donna, la vita intima di Dio e i metodi per tutelare la spiritualità operante del genere umano. Mito e culto sono due elementi saldati al fatto religioso.

Il culto si prospetta come l’espressione di quella emozione mistica che è specifica della religione. Il mito è il commento razionale degli atti del culto, trasmesso nei secoli attraverso un tessuto di simboli. Di questi i sapienti conoscono il significato, ma la massa popolare dei credenti si attiene fideisticamente alla trama del racconto mitico, perché non è capace con le sole forze della ragione di penetrare l’occulto significato del mito stesso.

Del resto, il mito fa parte di una tradizione orale o raramente scritta, per i pochi che leggono in esso come in un libro aperto. Se la catena di trasmissione sapienziale venisse interrotta, allora gioverebbe per la comprensione del mito la meditazione su di esso: meditazione che richiede, nell’Iniziato, un’intuizione ispirata. I miti sono stati congegnati dai grandi sacerdoti del passato, quando vigeva la necessità di velare la Rivelazione divina.

Tuttavia, anche oggi in pieni tempi moderni, non mancano casi di nuove aggiunte a carattere mitico nella stessa religione Cattolica, non sappiamo se ad arte o inconsciamente. In seguito, quando i tempi sono maturi e le menti aperte, il mito viene sostituito da una creazione mentale più ampia, più accessibile, più morale, per arrivare al valore di un sistema metafisico. Il vecchio mito rimane come cosa superata e comprensibile soltanto a condizione di venire allegorizzato come ricettacolo di un alto insegnamento religioso e morale, oppure degradato al rango di fiaba.

In tutte le religioni permangono dei miti che ancora oggi hanno la loro forza e costituiscono libri chiusi o muti per coloro che sono inesperti in questo campo. Del mito si sono serviti gli Alchimisti, per occultare a coloro che non erano pronti, le fasi, le operazioni di trasmutazione della coscienza comune in super-coscienza iniziatica. Ma l’Archeosofia, per necessità di lavoro, deve diventare una conoscitrice di miti e, ovviamente, una decifratrice del mito. Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti.

Molti miti si assomigliano, pur appartenendo a popoli vissuti in epoche diverse e in luoghi molto lontani. In alcuni miti dell’America si raccontano storie uguali a quelle di altri miti dell’Asia o dell’Africa o dell’Europa. Cambia il nome dei personaggi, cambia l’ambiente geografico, cambiano altri particolari, ma l’intreccio e il significato delle storie restano gli stessi. In certi casi si può supporre che miti simili tra di loro siano nati da un unico racconto, diffuso in luoghi diversi e lontani da viaggiatori e mercanti. Ma a questa ipotesi si fa un’obiezione: esistono popoli completamente isolati da altri popoli, eppure hanno prodotto gli stessi miti, e questo porta alla conclusione che essi siano nati in modo autonomo.

La somiglianza di miti tra di loro potrebbe essere spiegata con il fatto che certe intuizioni e certe esperienze siano così comuni fra gli uomini, che essi, pur non conoscendosi, le esprimono con le stesse immagini e le stesse invenzioni.

Si può anche pensare che certi miti siano nati da un avvenimento storico, e chi si spostava da un paese all’altro raccontasse fatti veramente accaduti, che venivano poi tramandati, di luogo in luogo, in forme diverse. Si nota soprattutto che, anche se si differenziano profondamente i costumi, le lingue e spesso anche le religioni, la memoria degli uomini ha conservato spesso inalterato il ricordo mitico.

Certo, il mito può variare nel corso della storia, diffondendosi in regioni sempre più lontane, alcune sue parti possono essere dimenticate, la fantasia del narratore ne può aggiungere delle altre, può succedere che più miti vadano a fondersi in un unico racconto, ma ciò che importa è che alcune situazioni, alcuni personaggi, rimangono sempre costanti. Inoltre, per quanto riguarda le società tradizionali, una delle necessità è il mantenimento del mito così com’è, e questo porta all’equilibrio omeostatico della parola.

Più che di un mito dobbiamo quindi spesso parlare di varianti del mito, e la variante è appunto il modo in cui ogni popolo racconta uno stesso mito. Lévi-Strauss analizzò e comparò i miti. scomponendoli in unità minime (mitemi) e dimostrando che tutti quanti avevano la grande capacità di chiudersi in punti complementari. Ad esempio, vi sono sempre due elementi in contrapposizione (buono-cattivo), questo risponde alla necessità dell’uomo di ragionare per contrasto. Un esempio di mito presente in molteplici civiltà lo possiamo trovare nel mito del diluvio universale, presente in ben 64 letterature di popoli diversi. Le versioni più importanti sono il racconto narrato nella Bibbia e quello nel poema di Gilgamesh.

Il tempo del mito è assai vicino a quello della fiaba. Come le fiabe iniziano con il loro “c’era una volta”, così molto spesso i miti iniziano con espressioni come: “in illo tempore”, “in origine”, “quando ancora non c’era tempo”. L’illo tempore del mito non è un tempo qualsiasi, che si colloca in un qualche momento, seppur lontano, della durata storica, l’illo tempore è un attimo sacro, che abbraccia le età più lontane, il mondo presente e il futuro. Per il mondo mitico vi è solo un tempo, “quel tempo”, appunto, quello in cui accadde il mito.

Questo è il primo carattere del tempo mitico: Esso è Eternamente Presente.

Tanti sono gli esempi che si possono proporre: il mondo sorse dalle acque, ebbene, ogni volta che qualcosa di nuovo viene al mondo il mito delle acque primordiali si ripete, il passato diventa presente, ciò che accadde accade ancora. Le città si fondano vicino a una sorgente, i bambini appena nati si abbandonano lungo un fiume, una nuova vita si acquista con il battesimo, il mondo rinasce dopo il diluvio universale.

Il mito narra di un antico antenato lupo che in “illo tempore” spadroneggiava nella foresta, piegando gli uomini e gli animali alla sua volontà e ciò accadde in “illo tempore”, ma può accadere ancora ogni volta che un uomo assume le sembianze del lupo, vive per un certo tempo come un lupo, mangia come un lupo, entra nella sua tana. Il mito antico diventa un modello, un esempio da seguire, da imitare e il tempo mitico è reversibile, può tornare ogni volta che l’uomo applica quel modello.

Altri esempi si possono trarre dal mondo mitico degli agricoltori: ogni anno, alla fine dell’inverno, il dio morto risorge, portando con sé sulla terra la primavera, ogni anno il mito originario si ripete. Il tempo mitico è dunque anche un tempo ciclico, dove tutto si ripete, dove il futuro ricalcherà le orme del passato. Così, attraverso il mito, l’uomo primitivo acquista fiducia e sicurezza per il futuro e sa come si dovrà comportare in esso, perché lo ha appreso dal passato, da ciò che è stato e sarà ancora.

Il tempo del mito è un tempo sacro, un tempo in cui gli eventi si ripetono secondo l’ordine sacro stabilito in principio dagli dèi. Non è un caso se possiamo ancora constatare nella lingua latina una parentela indiretta fra la parola tempus e la parola templum, il luogo sacro dove si celebravano i riti.

Lo spazio del mito non è omogeneo, non è tutto uguale. Al centro del mondo di solito si trova un luogo sacro, una montagna, un totem.

Questo luogo è sacro, perché costituisce la via di comunicazione fra l’uomo e dio. Ma anche lo spazio su cui sorgono i templi è sacro, come sacro è ogni luogo, ogni albero, ogni pietra, ogni acqua, in cui una volta, in “illo tempore”, si manifestò la presenza divina. Lo spazio del mito appare, così, profondamente disomogeneo, ineguale. Alcuni luoghi sacri interrompono lo spazio profano, comune, sono quegli spazi che i miti hanno fondato come diversi, in cui bisogna comportarsi in maniera diversa. Spesso solo i grandi sacerdoti, coloro che sono in contatto con gli dèi, possono entrare in quegli spazi, in ogni caso nessuno può entrarvi se macchiato di una colpa.

I Greci e i Romani erano soliti aspergersi d’acqua, che nel linguaggio del mito vuol dire purificarsi nel corpo e nell’anima, prima di entrare nei loro templi, per non portare nel luogo sacro alcun residuo del mondo profano. Questa concezione di spazio disomogeneo e ineguale non è limitata alla forma mentis dei popoli primitivi, infatti se ne può trovare il riflesso ancora nelle comunità contadine del medioevo, ad esempio nella normativa giuridica.

Le pene previste per chi compiva un reato dentro le mura del villaggio erano superiori, a volte doppie, rispetto alle pene previste per lo stesso reato perpetrato fuori le mura. Se poi il reato era portato a termine fuori dai confini del comune. il colpevole era spesso sollevato da ogni pena.

Il centro del villaggio è il luogo, quindi, di massima sacralità, sacralità dello spazio. che diminuisce man mano che ci si allontana dal centro, fino al mondo profano che si estende al di là dei confini. Di fronte all’uomo primitivo la natura, la vita, la storia e tutto ciò che lo circonda, appare come un turbinio di immagini senza senso, e il mito diventa quindi un modo per ordinare e conoscere la propria realtà.

Egli non conosce le leggi che governano la natura, le cause della vita e della morte, del bene e del male, non comprende i motivi storici che hanno determinato la condizione del suo popolo, e davanti a questo universo di immagini incomposte, che la natura e la vita gli propongono ogni giorno, rischia di perdersi, di cadere preda dell’ansia e della paura. Solo attraverso i miti egli trova il senso della realtà, costruisce l’ordine di quelle immagini, altrimenti incomprensibili.

I miti rivelano l’ordine profondo che regola la vita e la morte, i successi e le sconfitte, l’estate e l’inverno, tutto ciò che è accaduto e che accadrà. Il mito è il bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione della natura, è spiegazione di un rito, di un atto formale che corrisponde alle esigenze della tribù, è struttura delle credenze di un gruppo, di un etnos.

La Mitologia è il termine con cui si indica sia lo studio – riferito di frequente alle singole religioni – dei miti, sia il complesso delle credenze mitiche. Queste concernono principalmente tre argomenti:

  • l’origine del mondo
  • l’origine dell’uomo
  • l’origine del popolo privilegiato rispetto alla divinità (l’elaboratore del mito stesso)

Disciplina considerata fenomeno culturale assai complesso, la mitologia può essere analizzata sotto diverse prospettive. Il suo corpus è comunque dato dall’insieme di narrazioni, quasi sempre orali, spesso letterarie, e da drammatizzazioni e rappresentazioni di tipo figurativo, che mettono a fuoco le vicende di personaggi esterni al tempo inteso in senso storico.

L’intersecarsi, il comporsi, e anche lo scomporsi e il successivo ricomporsi, delle vicende mitologiche, che è possibile vedere sotto una diversa prospettiva, a seconda di una narrazione o rappresentazione rispetto ad un’altra, costituiscono il patrimonio fondativo di una determinata cultura e di un popolo. Ciò è sempre in qualche modo in rapporto con la sfera del sacro e del divino, per questa ragione il confine tra mitologia e teologia è molto labile e talvolta indistinguibile.

MITOPSICOLOGIA

Per mitopsicologia si intende l’esegesi del mito su chiave psicologica. L’esempio classico è il mito di Edipo, ma altri se ne possono fare: il mito viene considerato rappresentazione di archetipi di personalità e di comportamento. Carl Gustav Jung e Jean S. Bolen, insieme ad altri studiosi, hanno notevolmente contribuito a una psicologia diversa del maschile e del femminile, prendendo come esempi le divinità greche.

A dire il vero, la mitopsicologia riguarda i miti di ogni era e di ogni civiltà. Tuttavia, le divinità dell’antica Grecia sono state usate molto di più, per le numerose testimonianze scritte che sono pervenute sui miti e sulle leggende delle divinità dell’Olimpo. Bolen ha tracciato le figure archetipiche delle dee e degli dèi nelle persone; tali archetipi sono dei modelli innati, che plasmano gran parte del carattere di una persona. Conoscerli significa conoscere la propria persona e le altre, permette di intuire i modelli comportamentali che un individuo realizza, consapevolmente o meno.

Nelle opere della Bolen possiamo vedere i modelli archetipici femminili di Era, Demetra e Persefone, dee vulnerabili, che trovano, cioè, piena realizzazione con altre persone, Artemide, Estia e Atena, dee invulnerabili, che si realizzano pienamente senza l’appoggio di altri individui, e Afrodite, dea che non rientra nelle due tipologie sopra dette, incarnandole entrambe, anche se lo psicanalista Claudio Risé distingue tre archetipi all’interno della Venere, oltre Venere stessa, introduce la figura della prostituta sacra e della Pizia.

Circa gli uomini, la mitopsicologia distingue 3 figure principali: gli dèi padri, Zeus, Poseidone e Ade, e un uomo ne incarnerebbe uno di essi, mentre gli dèi figli, Ares, Dioniso, Ermes, Apollo, Efesto, corrispondono agli archetipi presenti in modo minore in un individuo. Per la mitopsicologia, in un uomo possono essere presenti vari archetipi, in modo ora maggiore ora minore, sia maschili che femminili. L’analisi non deve, però, concludersi nella presa visione del proprio archetipo, poiché la vita è varia, mutevole, e attaccarsi solo al proprio archetipo condanna l’individuo alla staticità. È bene sviluppare altri archetipi, a seconda delle situazioni che la vita offre.

Un primo contributo importante lo si deve al filologo Max Muller nel XIX secolo, il quale affermava che i miti avevano avuto origine nel linguaggio. Dunque il mito nella sua interezza era, semplicisticamente parlando, una descrizione poetica degli eventi naturali e dei nomi degli dèi, che venivano dati a tali fenomeni. In questo però Muller non faceva che riprendere quanto già sostenuto ne La Scienza Nuova da Vico.

Ma un’interpretazione di tipo completamente differente ci viene dallo studio di Sigmund Freud e dei suoi seguaci e allievi. Tra questi Carl Gustav Jung, tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX secolo, è sicuramente colui che si è occupato maggiormente del mito, ma con un’interpretazione spiritualistica, che finisce per confliggere con quella materialistica del maestro. Jung apre, a tutti gli effetti, una via alla psicanalisi su presupposti molto differenti da quelli di Freud.

Secondo gli psicanalisti in genere, il mito nasce in seguito a due processi. Il primo si può definire come un affacciarsi alla mente dell’uomo delle attività intellettive fondamentali, ossia la ricerca delle cause, i sentimenti contrapposti, le intuizioni, attività che prendono piede contemporaneamente. Il secondo processo opera una fusione della vita cosciente con la vita inconscia, ossia avviene un meccanismo simile a quello che avviene nei sogni.

Questi due processi si integrano e si completano vicendevolmente. Infatti, mentre il primo porta alla formazione di immagini “sintetiche”, ossia immagini non direttamente stampate sulla retina dell’occhio, che racchiudono tutto quello che concerne una determinata idea, il secondo interviene, attingendo alla capacità di correlazione e sincretismo tra le varie attività del pensiero, per organizzare il primo processo, dando così origine al mito.

Ad esempio, l’idea di “acqua” riunisce le idee di necessità, di causa prima, di fecondità, e di conseguenza il secondo processo interviene per creare la figura di un essere che ne rappresenti gli attributi e che operi di conseguenza. Nel momento in cui nasce il mito, la potenza diventa atto.

Naturalmente questo non esclude il fatto che molti personaggi mitologici potrebbero essere realmente esistiti, anzi in alcuni casi ne abbiamo la quasi certezza: quello che è vero, è che probabilmente le loro imprese raccontate dai miti siano state romanzate, per i motivi di cui sopra, ed è certo che la mitologia sia stata, specie nel passato, fonte di ispirazione nell’arte, sia in letteratura come nella pittura e nella musica.

I miti, i simboli e gli archetipi raccontano in chiave “poetica” i misteri dell’unità cosmica, che trascende le dualità, così come si manifestano attraverso la contingenza fisica spaziotemporale. Come afferma Joseph Campbell, “si dice che la mitologia sia la penultima verità, la penultima perché l’ultima non può essere tradotta in parole”.

“Sotto l’una o l’altra forma, le vicissitudini di tutti gli esseri umani presentano analogie con le avventure meravigliose narrate nelle favole e nei miti. Sì, voi tutti siete principi e principesse, e avete in voi tutte le ricchezze: il vostro cuore, il vostro intelletto, la vostra anima e il vostro spirito sono forzieri colmi di oro e pietre preziose. E siete anche maghi: possedete una bacchetta magica (la parola), di cui non avete ancora sperimentato i veri poteri.

Eppure lo sapete: dite qualcosa di gentile a qualcuno, e subito vedete i risultati. Lo insultate, e immediatamente vedete altri risultati: non avete toccato la persona, non l’avete ferita con un coltello, eppure quella persona è ferita come se avesse ricevuto una coltellata. Sì, la parola è magica. Allora sorvegliate le vostre parole. Per prima cosa, però, sorvegliate i vostri pensieri e i vostri sentimenti, affinché vi ispirino le parole, grazie alle quali, come maghi buoni, porterete ovunque il conforto, la pace e la gioia.”

“Certi racconti, che in genere si crede siano riservati ai bambini, sono in realtà dei racconti iniziatici, ma, per poterli interpretare, bisogna conoscere la scienza dei simboli. Il drago non è altro che la forza sessuale. Il castello è il corpo dell’uomo. In tale castello sospira la principessa, cioè l’anima che la forza sessuale mal dominata tiene prigioniera.

Il cavaliere è l’ego, lo spirito dell’uomo, e le armi di cui si serve per vincere il drago rappresentano i mezzi di cui lo spirito dispone: la volontà, la scienza per dominare la forza sessuale e utilizzarla. Perciò, una volta dominato, il drago diventa il servitore dell’uomo, gli serve come mezzo per viaggiare nello spazio, perché il drago ha delle ali. Sebbene sia rappresentato con una coda di serpente – simbolo delle forze sotterranee – possiede anche delle ali. È chiaro, semplice: è l’eterno linguaggio dei simboli”.


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