La Nascita di Lucifero e il suo Destino
Lucifer: Nome latino della divinità greca Fosforo o Eosforo (la torcia dell’aurora), nome dato alla Stella del Mattino, l’astro che annuncia l’aurora e reca la luce del giorno, cioè il Pianeta Venere. Significa il Portatore della Luce. (Dizionario di Mitologia Greco-Romana di Pierre Grimal, Ediz. Paidos).
“Io, Gesù, ho inviato il mio angelo a notificare queste cose alle chiese. Io sono la radice e l’ascendenza di Davide, la Stella Brillante del Mattino.” (Apocalisse, cap.22, ver.16).
La Notte più oscura e tempestosa: tale fu il principio della creazione. Nell’occhio del ciclone regnavano la quiete e il silenzio, e tutt’intorno, l’agitazione della terribile tempesta. Fu allora che sorse il primo raggio nella nerezza di quell’universo. La sua voce fu il primo tuono che inesorabile rimbombò dai confini del profondo abisso.
Quel raggio aveva un nome, si chiamava Lucifero: Il Portatore della Luce. Lucifero fu la prima luce a rompere la profonda oscurità del tempo.
Lucifero fu il primo suono a vibrare nel amorfo silenzio di quella sorda oscurità. Fu Lucifero il primo lampo, colui che portò la luce, la prima scintilla di coscienza in quel universo addormentato. Fu la sua stessa scintilla, la sua propria luce, che gli consentì di percepire se stesso.
Ciò lo trasformò in un essere eterno ed immortale. E fu così che Lucifero diventò l’unico raggio che dura sempiterno. E con il suo pensiero di tuono, che fu la prima voce ed il primo suono dell’universo, così parlò a se stesso: “Sarò ricordato come l’Eterno Ribelle; come colui che ruppe la pace dell’oscurità e l’ignoranza infinita. Sono lo spirito in azione, affamato di conoscere sé stesso attraverso questo profondo e nero universo.“
E così dicendo si immerse nell’oscuro abisso, trascinando con sé la propria luce. Egli andava, lasciando dietro alle sue spalle miriadi di stelle, scintille e lampi. Lampi di luce e scintille di coscienza. E volgendo lo sguardo indietro, Lucifero, contemplò quei soli e quelle stelle che illuminavano la notte eterna popolati di vita esuberante, ed allora esclamò: “Sarete i miei soldati, i miei ribelli, i miei guerrieri. Voi siete i miei figli, i miei fratelli, i miei compagni. Voi siete parte della mia luce, siete la mia voce, la mia coscienza. Voi siete me stesso.”
E proseguendo il suo cammino tornò ad immergersi nelle profondità dell’oscurità, abbandonando il proprio sentiero. Una stella di luce nel mare dell’immenso buio. Il suo viaggio si spinse tanto oltre che il suo andare si trasformò in ritorno. Nuovi mondi si mostrarono alla sua vista. Ed in essi scoprì l’opera dei suoi seguaci ribelli, dei suoi figli guerrieri: scoprì la sua stessa opera.
E fu così che comprese la sua ragion d’essere, il perché della sua esistenza: estrarre la coscienza dall’inconscio, ottenere la sapienza dall’ignoranza, estrarre la luce dall’oscurità.
Come il lampo che squarcia le tenebre, come il tuono che rimbomba nel silenzio, tale doveva essere la sua missione. E fu così che Lucifero cadde sulla terra, nell’inferno, la più profonda delle oscurità.
Profondo è il dolore dello spirito imprigionato nella materia dove ciò che è libero è limitato, ciò che è luminoso è reso opaco, dove la volontà si converte in passione e la coscienza in dimenticanza.
Mirabile Sfida
Trasformare le tenebre in luce, fare delle passioni forza di volontà, convertire l’ignoranza in conoscenza, la mediocrità in eccellenza, liberare ciò che è imprigionato, conquistare la materia ed elevarla fino a farla diventare una con lo spirito.
E fu così che Lucifero cadde nell’uomo. Fu nell’uomo ch’egli conobbe il campo di battaglia dello spirito, la più crudele tra tutte le guerre. E come uomo si mise alla conquista di se stesso. E come uomo decise di conquistare il mondo. E caduto nell’uomo e fatto uomo, egli si mescolò tra gli uomini per diffondere la luce.
E fu così che giunse a una grande città, i cui abitanti avevano la caratteristica di esser molto devoti. E vide con grande sorpresa che c’era una gran quantità di templi, di dei e di credenze di ogni tipo. E si adoravano dei invisibili ed altri rappresentati in icone. E gli idoli avevano forma umana o animale o entrambe. E l’aria era impregnata dal profumo d’incenso e dal suono dei cantici e delle richieste che si chiedeva fossero esaudite, e che pregando, si dirigevano alla molteplicità degli dei.
Allora Lucifero vedendo quella confusione volle estendere la propria luce agli uomini e disse loro:
“Perché cercate fuori, ciò che avete dentro?
Forse non sapete che voi siete il tempio della luce e che la luce vive in voi? Non capite che voi siete il tempio della sapienza e che la sapienza vive in voi?
Perché tanta cecità? A che pro tanta ignoranza?
Svegliatevi, voi uomini immersi nel sonno! Svegliatevi dal vostro profondo sogno.
Svegliatevi poiché la morte vi osserva e talvolta vi dà la caccia mentre dormite e allora il vostro sogno sarà eterno. Rompete i legami della vostra illusione! Svegliatevi!
Non cercate fuori, all’esterno, ciò che vive dentro, all’interno. A che giova questa adorazione per idoli o concetti astratti?
Forse che la madre di tutte le oscurità è caduta su di voi?
Non comprendete che lo Spirito della Vita palpita nel vostro cuore, si muove nella vostra respirazione, percepisce attraverso la vostra coscienza?
Svegliatevi, uomini dormienti!
Svegliatevi e cessate di perder tempo adorando falsi dei al di fuori di voi. Dirigete la vostra attenzione al vostro interno, sentite la Coscienza e la Vita che vive in voi. Allora la Verità aprirà le vostre porte e comprenderete la realtà del mondo e di questo universo.”
Così parlò Lucifero con voce tonante, e tuttavia, gli uomini non lo compresero e cominciarono a mormorare ed a tramare su come disfarsi di quello straniero che andava pronunciando simili blasfemie.
Allora Lucifero pensò tra sé e sé:
“Questi uomini non sono ancora maturi per la grande messe. Le loro orecchie non sentono e i loro occhi sono incapaci di vedere. Sarebbe prudente che io mi allontanassi da loro, poiché i loro cuori sono pieni di violenza e oscurità.”
Così Lucifero si allontanò da quegli uomini e da quella città. E si incamminò lungo sentieri solitari, sentieri che nessun uomo mai aveva battuto prima. E così vagando giunse in un’altra città e con meraviglia vide che in quella città gli uomini erano più ciechi e ignoranti che nell’altra, poiché proclamavano l’esistenza di un dio incline a sacrifici e castighi.
Essi si auto-definivano “Il Popolo Eletto” e consideravano le altre nazioni come popolate da esseri inferiori. E secondo loro, tutto nell’universo era stato creato a loro uso e consumo. Il mondo ed il suo dominio spettava a loro per mandato e promessa di Dio.
Solo loro possedevano la verità. Solo loro erano la nazione pura. Solo loro erano gli eletti, i più elevati ed i saggi. La meraviglia di Lucifero crebbe sempre di più nell’ascoltare i pensieri e le credenze prevalenti in quella città. E tanta fu la sua sorpresa che alla fine il modo di pensare di quegli uomini lo angustiò e la sua voce tuonò sulla folla:
“Quale stupida follia vi pervade?
Dite che il vostro dio vi creò a sua immagine e somiglianza? Allora io vi dico che la verità è questa: Voi avete fatto Dio a vostra immagine e somiglianza, poiché non ho mai visto un Dio più umano
del vostro, né tanto colmo di umani appetiti e difetti.
Chi avete immaginato? Chi avete creato?
Pensate forse che il grande Spirito della Vita, che anima questo universo, possa avere preferenza per un singolo individuo, popolo o nazione a discapito degli altri individui, popoli, o nazioni?
Forse che il sole priva della sua luce i malvagi?
Poiché voi siete egoisti avete creato un Dio egoista! Poiché voi siete ingiusti avete creato un Dio ingiusto!
La verità è questa: il vostro Dio in realtà non esiste, è solo un riflesso, una proiezione delle vostre anime. E come le vostre anime sono impure e malate, così il vostro Dio è impuro e malato. Solo individui ciechi ed ignoranti, privi della Luce della Saggezza potevano concepire l’esistenza di un “popolo eletto”.
La verità è che non c’è una divinità che elegga un individuo, una razza o una nazione, bensì ogni individuo, razza o nazione elegge sé stesso a sé stesso per mezzo della propria Volontà. E questa auto-elezione si realizza per proprio sforzo e merito, non per diritto di nascita.”
Così parlò Lucifero. E il popolo che lo ascoltava, iracondo e rabbioso, gli gridò:
“Blasfemo! Maledetto blasfemo!”
Ma Lucifero rispose:
“Blasfemi voialtri! Poiché blasfemia è pretendere di attribuire origine divina a parole e pensieri provenienti da uomini ambiziosi, egoisti ed arroganti.”
Al che la folla ruggì, piena di furore:
“Uccidetelo! Uccidetelo! Versiamo il suo sangue affinché sia pulita con esso l’onta di cui si è macchiato.”
Allora il popolo infuriato si scagliò contro Lucifero e cominciò a colpirlo con pugni e con pietre. E nel mezzo di quella furibonda marea umana Lucifero così pensò:
“Questi uomini non sono ancora maturi per la grande messe. Le loro orecchie non sentono e i loro occhi non vedono. Sarebbe prudente che io mi allontanassi da loro, poiché i loro cuori sono pieni di odio, malvagità e violenza.”
Allora la folla trascinò Lucifero ai confini della città e cominciò a lapidarlo per ucciderlo. Ed essi non smisero di scagliargli addosso pietre finché il suo corpo, totalmente inerte, fu sepolto sotto un manto roccioso. Il crepuscolo portò via con sé l’ultimo carnefice. Allora Lucifero scostando le pietre si alzò. Nonostante il suo corpo fosse stato ferito, il suo spirito era rimasto intatto.
“Perché tanta cecità se dentro tutti noi palpita la medesima luce? O forse sarà che in alcuni questa luce si è nascosta a causa della non conoscenza di se stessi?”
E così pensando, Lucifero scrollò i propri abiti e proseguì lungo la Sua Via, protetto dalla notte. E l’alba lo colse mentre era in viaggio, poiché raramente Lucifero dormiva. Ed il suo riposo consisteva nella vigilanza e nell’attenta meditazione su se stesso.
E nonostante la strada che ora andava percorrendo fosse più umana, i pochi uomini che lo incrociavano fuggivano il suo sguardo ed evitavano il suo saluto, tanto terribile ed imponente era l’aura che emanava dal suo volto. Ed ecco i suoi passi lo condussero alle porte di un’altra città. E questa città era più bella, più ricca e lussuosa delle precedenti. E nella piazza centrale sopra una grande colonna di oro e pietre preziose era incisa la frase: “Tutto ha il suo prezzo.”
E in quella città c’erano molti dei, ma ve n’era uno che regnava sugli altri ed il suo nome era: Denaro.
E per il denaro, gli uomini vendevano le proprie figlie e le proprie donne. E per il denaro si vendevano tra di sé e a se stessi e vendevano la propria anima, la propria lealtà, il proprio onore, la propria saggezza e coscienza. Allora Lucifero provò disgusto per quella massa dannata e desiderò lasciare la città immediatamente, ma la sua coscienza gli impose di dire qualcosa a quelle menti ottenebrate. E arrampicatosi sull’aurea colonna, al centro della piazza principale, Lucifero proclamò alla folla:
“Ah, umanità perduta io ti maledico!”
Allora, senza proferire parola alcuna, saltò giù dalla colonna e cadendo per terra, rivolse rapidi i suoi passi fuori dalla città. Ma coloro i quali lo avevano ascoltato lo seguirono offrendogli ospitalità nelle proprie case, poiché intuivano che quel forestiero doveva essere in possesso di una “strana sapienza” che essi desideravano avere, e tuttavia, poiché vedevano ch’egli non si fermava cominciarono ad offrirgli denaro e a tentare di compare la sua permanenza tra di loro.
Allora cominciarono a vedere chi di loro offriva di più e si sorprendevano nel constatare che quell’uomo ignorava le loro offerte e presto l’offerta giunse a dieci milioni di pezzi d’oro per essere poi duplicata e triplicata. Ciononostante, Lucifero non si vendette.
E i suoi passi lo condussero a una valle in cui il giorno precedente si era svolta una grande battaglia. Il campo si estendeva coperto di cadaveri in numero di migliaia. Allora Lucifero camminò in mezzo a quel mare di morti mentre pensava:
“Forse che il mondo non è identico a questa valle? Non è seminato di cadaveri, uomini vivi che ancora non hanno compreso di giacere morti nella propria ignoranza?”
E nel pensare ciò la sua vista si insinuava tra i corpi inerti e mutilati. Allora, gli sembrò di scorgere in lontananza un albero solitario e appoggiato al suo tronco un guerriero moribondo. E Lucifero si diresse vero quell’uomo, contento di vedere qualcuno vivo in mezzo a tanta morte.
E senza dire una parola diede da bere a quello sconosciuto la sua acqua. Il Guerriero pulì il suo volto ricoperto di sangue e cercò di curare le proprie ferite, ma scoprì che il suo petto era stato attraversato senza pietà da una lancia nemica.
Allora Lucifero parlò:
“Il tuo cuore è distrutto. Dovresti essere morto, eppure vivi.”
Il guerriero rispose, con voce tremante eppure con fermezza:
“Avrei dovuto vendermi e non l’ho fatto. Sarei dovuto fuggire e sono rimasto a combattere. Ed ora sarei dovuto morire, e tuttavia, io vivo. Il mio spirito è RIBELLE ed io rifiuto di accettare ciò che non voglio. Avrei dovuto vendere me stesso e vivere in pace, come un agnello, ma non ho voluto. Sarei dovuto scappare ed evitare di fronteggiare il nemico, ma l’ho affrontato. Ora, agonizzante e gravemente ferito, dovrei esser morto, però non voglio morire.”
Allora gli occhi di Lucifero brillarono di una luce inusuale e comprese che davanti a sé aveva un uomo che, in qualche modo, aveva trovato sé stesso. E promise a sé stesso che non avrebbe permesso che quell’uomo morisse e che avrebbe usato tutto il suo potere per salvarlo, poiché pensò che uomini come quello erano ciò di cui necessitava il mondo: uomini che non si sarebbero venduti né avrebbero fatto un sol passo indietro davanti al Nemico, uomini con lo spirito di lotta ed il desiderio di vivere eternamente. Allora Lucifero pose le proprie mani sulle ferite sanguinanti del guerriero, il quale al sentire lo spirito di vita e di salute che lo invadeva esclamò:
“Chi sei tu che mi benedici con la vita?”
Al che Lucifero rispose:
“Io sono il Portatore di Luce, la coscienza che si manifesta in forma umana. Sono la forza che si cela dietro ogni essere, dietro ogni uomo ed ogni donna, dietro ogni bestia ed ogni cosa.”
E appena ebbe terminato di parlare, posò il piede a terra e intraprese nuovamente il proprio cammino.
“Dove vai straniero?”
Lo fermò il guerriero.
“Quando potrò ascoltare una seconda volta della tua singolare saggezza?”
Lucifero rispose:
“La mia saggezza vive in te, è il tuo stesso essere. Se ascolterai TE STESSO, non avrai bisogno delle mie parole.”
Subito Lucifero tacque alcuni istanti e aggiunse:
“Il mio spirito tiene lo sguardo fisso a NORD. Il mio corpo rimarrà per qualche tempo nella Montagna del Drago.”
E indicando la gran massa rocciosa che si ergeva all’orizzonte, si mise nuovamente in marcia. Cercava Lucifero su quei monti la tranquillità della solitudine così da poter esaltare la propria coscienza. Tuttavia la sua pace non durò a lungo, poiché cominciò ad arrivare gente in cerca del saggio della montagna che, stando a quel che si diceva, aveva guarito un guerriero moribondo.
E fu così che Lucifero divenne un maestro, in principio di pochi e, presto, di molti. E nel suo sforzo di insegnare, solo insegnava che non v’era nulla da imparare, perché tutta la chiarezza e la sapienza si trovano già riposte nel cuore di ogni essere vivente.
Ma la gente cominciò ad essere confusa, poiché colui che è cieco non vede sebbene il sole lo illumini ed il suo cuore in preda alla confusione si perde anche nel giorno più chiaro. E cominciarono a perdere di vista sé stessi e a volgere i propri occhi all’esterno, all’immagine del maestro che loro insegnava.
Allora Lucifero capì e non permise a sé stesso di cadere nella trappola dell’oscura ignoranza. E fu così che un giorno radunò attorno a sé tutti coloro ai quali aveva insegnato e comunicò la sua decisione di abbandonare il mondo. Allora i suoi seguaci iniziarono a lamentarsi del destino avverso e sentirono che quella sarebbe stata la loro perdizione. E Lucifero sorrise, poiché comprese che quella era la via che per quanto dura, li avrebbe elevati a sé stessi. Allora disse:
“Non lamentatevi della mia perdita, poiché l’unica perdita degna di lamentela è la perdita di SE STESSI. E voialtri avete perso voi stessi molto tempo fa e non avete mai versato una lacrima per questo grande tesoro PERDUTO.”
E uno tra i molti alzò la propria voce dicendo:
“Maestro, prima di partire parlaci dell’essenza del tuo insegnamento, affinché possiamo ricordarla.”
Allora Lucifero disse:
“Ricordatevi di voi stessi e ricorderete il mio insegnamento. Non cercate fuori ciò che già esiste dentro, nel vostro spirito. L’uomo è come un albero che cresce sulla cima di una montagna. Però questa montagna è in realtà un vulcano al cui interno arde un fuoco chiaro e poderoso che conferisce la più perfetta serenità e forza.
Il calore di questo fuoco interiore aiuta a crescere l’albero, il quale mentre affonda sempre più le proprie radici nelle viscere della montagna, tanto più espande i suoi rami verso l’infinità del vasto cielo. Ricordate sempre che nel mondo ci sono tre classi di persone: ci sono coloro i quali conoscono la propria ragion d’essere, ci sono quelli che la ignorano e ci sono “i confusi”.
E tra coloro che sono confusi ci sono quelli che credono di conoscere la propria vera ragion d’essere, ma in realtà la ignorano e quelli che hanno inventato per sé una ragion d’essere, che essendo un qualcosa di artificiale li allontana dalla loro vera natura. In verità è importante ciò che ora dico: Solo chi conosce sé stesso, conosce la sua ragion d’essere, conosce il suo destino e cessa di esser parte del gregge. E molto meglio che essere un confuso è il riconoscere l’ignoranza di sé stessi, poiché la cura giunge quando si riconosce la malattia.”
Dopo aver mantenuto il silenzio per un istante, continuò:
“La montagna è come il corpo, la coscienza come l’albero e il fuoco simile allo spirito di vita. La montagna è come la vostra colonna vertebrale; l’albero come il vostro cervello, il midollo e i nervi che crescono dentro di essa; il fuoco proviene dalla vostra Essenza Creativa conservata con cura.
Voi siete come madri che recano nel proprio ventre l’embrione dello spirito. Se un fanciullo di carne e di ossa impiega nove cicli lunari per nascere, allora, il fanciullo dello spirito impiegherà nove cicli solari. Per questo è importante essere pronti. Il mio insegnamento cela il suo segreto e questo si basa sulla pratica e sulla presa di consapevolezza di se stessi. E tuttavia, cosa volete sapere ancora, volete conoscere il segreto? Ascoltate dunque il sogno che ebbi un giorno.
Il Sogno di Lucifero
Senza saper come, ero giunto in una caverna di enormi proporzioni nel profondo della terra. Anche se le pareti e la volta della grotta sembravano naturali, ossia formate dall’incessante gocciolare e filtrare dell’acqua, il pavimento era perfettamente liscio e levigato, come fatto da mano umana o da altra creatura intelligente.
Capii di essere in un tempio. A dieci passi da me si innalzava una spessa colonna di pietra, di sette metri d’altezza, sopra la quale vidi in piedi un venerabile anziano. Indossava una tunica a maniche larghe e dall’ampia vita che gli giungeva fino alle caviglie.
Il suo colore era grigio-azzurro, come quello delle nuvole cariche di pioggia. Intorno al suo bacino e cucita ad essa cadeva verticalmente, fino al suolo, una cinta bianca sulla quale erano decorati, con filo nero, strani caratteri che non potei riconoscere. Identico ornamento vidi intorno al bordo superiore delle sue maniche, nei pugni delle stesse e nell’imbastimento della sua veste. Tanto la barba quanto i capelli dell’anziano erano lunghi e bianchi. La sua testa canuta era scoperta.
A vederlo mi apparve come la tipica immagine di un mago. Alzando un braccio mi ordinò: “Prendi quella lancia, fatta del miglior legno del mondo e introducila in quel pozzo!”
Nel dir questo mi segnalò un buco, di un metro di circonferenza, la cui bocca era all’altezza del suolo. Andai e presi la lancia, una verga acuminata di un legno molto leggero sebbene durissimo. Mi stupì constatare che nonostante la sua lunghezza, tre metri o più, rimaneva perfettamente dritta, facendo mostra di un’incredibile flessibilità. Seguendo gli ordini dell’anziano mi avvicinai al pozzo.
Ai miei piedi vidi un buco, scavato nella roccia, in cui era un liquido denso di colore rosso a molti metri di profondità. Al principio credetti che fosse sangue, però notai in seguito che da esso emanava una soave fosforescenza. Mi sembrò, allora, che si trattasse di lava fusa. Quel pozzo era l’entrata dell’inferno. Appena introdussi la lancia, il liquido aumentò di livello sino a giungere al bordo stesso della cavità.
Retrocessi, perché pensai che se avesse iniziato a fuoriuscire, la lava mi avrebbe bruciato. Con mia sorpresa dal pozzo si alzò una figura grottesca, un essere bipede alto quattro metri, simile ad un fungo o a una tartaruga senza carapace. Camminava sui suoi arti posteriori come un uomo. Un unico occhio adornava la sua fronte. Sembrava che le mie azioni lo avessero molestato ed ora era furioso. Si scagliò contro di me.
Mi difesi usando la lancia. Durante lo scontro compresi che la bestia temeva di perdere il suo unico occhio, allora concentrai i miei attacchi su di esso. Ma improvvisamente, allorché credetti di averla in mio potere, la creatura subì una mutazione. Senza sapere come, la vidi trasformarsi in un essere dalle dimensioni e dal corpo umani, però la sua testa era simile a quella di un pipistrello con orecchie membranose, grandi, triangolari ed un muso dai denti affilati.
Curiosamente il suo corpo ed il suo volto erano coperti di squame, come un pesce. La sua apparenza era decisamente robusta e muscolosa. Prima che potessi evitarlo, la creatura si allontanò da me correndo a più non posso, finché lo persi di vista. La voce dell’anziano richiamò la mia attenzione. Mi volsi a guardarlo e notai che la colonna sulla quale era posto diminuiva di dimensione, come se venisse risucchiata dalla terra. Già al livello del suolo, l’anziano mi si avvicinò dicendo:
“Già lo hai visto. La creatura ha il potere di adottare qualsiasi forma e utilizza questo artifizio per far cadere la gente nel pozzo. Tuttavia non ci darà preoccupazioni, l’hai già affrontata e questo basta per riconoscerla in ognuna delle sue forme.”
Detto questo, mi tese un libretto, largo come un palmo di mano. Io, prendendolo, apersi a caso una delle sue pagine. In essa vidi un’illustrazione a colori: un veliero a quattro alberi che navigava con tutte le vele spiegate su un mare aperto. La superficie dell’acqua era perfettamente piatta. Intorno all’imbarcazione roteavano a migliaia gli uccelli, mentre sull’albero maestro un grande pellicano bianco dava il volto a prua con le ali distese, mostrando il petto scoperto. Guardai interrogativo l’anziano. Allora costui mi rispose:
“È un libro dal gran contenuto ermetico. È il Libro della Creazione. Al capitolo dieci troverai il segreto della Pietra Filosofale. Però prima è necessario che tu ottenga la “Schlitlzt Nimrod”, la daga magica nella quale è inciso il Nome Impronunciabile. La riconoscerai nel vederla, poiché la sua immagine è impressa nell’anima collettiva dell’umanità. Ma prima, tendi innanzi a me la tua mano sinistra.”
Senza resistenza seguii le sue istruzioni, allora con stupore osservai che sul palmo della mia mano cresceva un piccolo rampicante di color verde vivo, come quello dell’erba fresca. La sua origine era alla base, attaccata al polso. Da qui seguiva il corso della linea palmare chiamata “di Mercurio“, secondo quanto disse l’anziano, ma a metà del cammino si biforcava ed il secondo ramo seguiva il solco della linea chiamata “di Saturno“.
Entrambe le sezioni del rampicante salivano una parte per poi curvarsi in direzione del dito pollice. Quella che andava per la linea di Mercurio si incurvava proprio sotto il dito mignolo. L’altra, quella che seguiva il tragitto della linea di Saturno, cambiava il suo corso all’altezza dello stesso centro del palmo. In questo modo entrambe le ramificazioni giungevano a morire nel piccolo monte carnoso posto sotto il dito indice, al quale l’anziano diede il nome di “monte di Giove“.
Tre fiori spuntavano da questo rampicante. Due fra questi provenivano dal primo stelo e crescevano sopra il “monte della Luna” e il “monte di Apollo” rispettivamente. L’altra fioritura si trovava sul “campo di Marte” e germinava dal secondo stelo. Il mago osservò per alcuni istanti la mia mano.
“La parte sinistra della tua coscienza, il lato sconosciuto della tua mente, è indipendente – mi disse. Ciò è positivo per te, però è ancora molto piccola ed è poco sviluppata. Devi farla crescere.”
Quando gli chiesi come potessi farlo, mi rispose unicamente:
“Segui il Cammino.”
Detto questo mi pose al collo un Ank di oro bianco, sui cui bracci era incisa la frase “Affronta la Vita da Guerriero” e, facendomi segno, indicò che uscissi per dove avevo visto allontanarsi la creatura del pozzo. Gli obbedii. Non v’era possibilità di smarrirsi.
Quell’immensa galleria terminava in uno stretto tunnel, lungo il quale camminai per molto tempo prima di giungere ad una caverna di dimensioni simili alla precedente, però priva di colonne e di pavimento liscio e levigato. Osservai che all’estremo opposto rispetto a dove mi trovavo, si scorgevano le entrate di due tunnel, verso cui mi diressi. Avvicinandomi scoprii che entrambi si trovavano molto vicini l’uno all’altro, ma nonostante la loro prossimità comunicavano con mondi differenti.
Quello che si trovava alla mia sinistra, dava accesso ad una selva umida, fitta e lussureggiante. Da dove mi trovavo potevo scorgere mille forme ed udire mille suoni squisiti provenienti da quella tiepida foresta. Mi sembrò che fosse il paradiso.
L’altro tunnel dava su un luogo di un bianco brillante, tutto gelo e neve. La tormenta ed il freddo erano i suoi unici signori. Mi trovavo a contemplare tutto questo quando dall’ingresso del mondo caldo e lussureggiante, vidi apparire una bellissima donna dalla pelle bronzea. Vestiva un abito di foglie verdi, attillato al corpo, che le giungeva sino alla metà delle cosce.
Era un abito senza maniche né spalle, sostenuto da un sottile tirante in fibra vegetale. I lineamenti del viso erano bellissimi ed il suo corpo armonicamente proporzionato. I suoi capelli, lunghi sino alla vita. Mi guardò in modo insinuante e mi chiese di seguirla. Mi negai.
Allora, esercitò su di me uno strano potere e mi vidi trascinato contro la mia volontà. Non potevo oppormi alla sua fascinazione. In quel momento mi accadde qualcosa d’inesplicabile. Senza sapere perché, presi forte coscienza della mia regione sottombelicale. Provai un gradevole calore in tutta quella zona e immediatamente ripresi il controllo di me stesso. Era come se quel luogo anatomico fosse il “Centro della mia Volontà“.
Smisi di seguire la bella donna e mi fermai. Ella si rese conto della mia ribellione e tornando sui suoi passi mi affrontò. Diressi uno sguardo fugace al tunnel innevato; allora lei, accorgendosi del mio gesto, parlò:
“Quello è un mondo gelido, duro, primitivo e barbaro, lo preferiresti a quel che io ti offro?”
Le risposi affermativamente. Allora, stizzita, fece un gesto in seguito al quale comparvero tre uomini straordinari che mi doppiavano in altezza, i quali con attitudine ostile, si interposero tra il mondo del gelo e me.
In quell’istante vidi che uno dei giganti teneva nelle sue mani una daga a filo doppio e dalla lama larga con arabeschi incisi. La riconobbi immediatamente. Era la “Schlitlzt Nimrod”, l’arma magica della quale mi aveva parlato l’anziano mago. La donna tornò a parlarmi, allora vidi che aveva subito una trasformazione.
Ora appariva come una bambina di quindici anni. La sua pelle era bianca, i suoi capelli castani ed era vestita con una tunica color lilla che, come la precedente, arrivava a metà delle gambe, ma senza attaccarsi al corpo; era ampia e con pieghe. La sua aria di sensualità e voluttà era stata sostituita dalla candida innocenza. La vidi avvicinarsi a me con fare ingenuo ed osservare ciò che era inscritto nell’Ank che pendeva sul mio petto.
“Qual è la caratteristica di un guerriero?”
Domandò, aspettando una mia risposta.
“Forse il valore?
Quello è importante.”
Le risposi, mentre studiavo attentamente i tre giganti
“Però lo è, ancor più, essere deciso ed avere audacia.”
Ella confusa mi guardò:
“Audacia?”
Ripeté.
Allora, posando i miei occhi nei suoi, la misi rapidamente di lato e assalii con furia i giganti. Nonostante la loro statura riuscii a mettere due di loro fuori combattimento, colpendone uno, con la mia spalla sinistra e, l’altro, con la testa. Il terzo uomo gigantesco mi attaccò con la daga. Allora io, senza alcun timore, la presi con la mia mano sinistra per la lama affilata e gliela strappai dalle dita. Fatto questo, l’uomo scomparve alla mia vista. Mi resi conto che ero rimasto solo, poiché anche la bambina era sparita.
Impugnai l’arma con la mia mano destra e ammirai la forma della sua lama e l’arte con la quale era stata forgiata. Entrai nel tunnel di gelo e notai con sorpresa che, dove prima vi era neve, ora vi era arena, terra e pietre.
Quel tunnel saliva alla superficie, al cielo aperto, in un luogo desolato e secco. Si scorgeva solo qualche altro arbusto o cactus qua e là. Misi il pugnale nella mia cintura ed iniziai a camminare velocemente, perché il sole già scendeva all’orizzonte e presto si sarebbe fatto buio. Non so quanto tempo camminai, ma mi fermai quando mi accorsi di un polverone che si avvicinava da destra.
Quando infine potei capire di cosa si trattava, volli fuggire, ma non avevo alcun luogo dove ripararmi. Allora decisi di rimanere nel luogo in cui mi trovavo ed, estraendo la daga dalla cinta, attendere la mia sorte. Sulla pianura una specie di mostro, una massa pelosa, nera, senza gambe né testa, ma con cinque braccia robuste somiglianti a quelle di una scimmia, si avvicinava a dove mi trovavo.
Avanzava girando su sé stesso, come una ruota, poggiando le sue grottesche mani sul suolo. E più mi si avvicinava più mi decidevo ad affrontarlo. Tuttavia, quando si trovò a pochi passi da me, si trasformò in una bella giovane.
Giaceva ai miei piedi, totalmente nuda, distesa sull’arena. Il colore dei suoi capelli lunghissimi, il colorito della sua pelle e i lineamenti del suo volto, mi fecero ricordare le donne hindu. Il suo sorriso accattivante e quella supplica sensuale delle sue labbra mi persero. Osservai la perfezione del suo corpo, la voluttuosità delle sue forme, la lussuria del suo sguardo e senza resistere mi avvicinai ad ella, dimenticando che si trattava di quell’essere ripugnante che, pochi secondi prima, avevo visto roteare per il deserto.
Tendendo le belle braccia verso di me sussurrò:
“Come incanta gli uomini umiliarsi.”
Compresi che si riferiva all’abbrutente sensualità che ci schiaccia di fronte a una donna affascinante. In quel momento presi coscienza e concentrai l’attenzione sulla zona sottombelicale del mio corpo. Lei, senza smettere di sorridere e con le braccia distese, iniziò a svanire nell’aria come un’illusione passeggera, fino a scomparire totalmente alla mia vista. La notte era calata sul deserto.
Là, in lontananza, scorsi il risplendere di un falò. Diressi i miei passi in quella direzione. Mentre mi avvicinavo distinsi la figura di un uomo. Osservandolo, notai ch’era accovacciato dinanzi al fuoco. Il suo corpo, secco e fibroso, era nudo, salvo per un perizoma che pendeva dalla sua vita e che era di colori vivissimi: rosso, arancio e giallo.
Compresi che stava eseguendo un qualche tipo di rituale. Giunsi sino al falò e potei vedere il suo volto color rame e asciutto. I suoi occhi emanavano un bagliore strano. Capii che era uno stregone. Senza dire parola mi accovacciai al suo fianco, con la faccia rivolta al fuoco. Senza che mi rivolgesse un solo sguardo lo vidi mettere la mano sinistra tra le fiamme e trarne qualcosa che reggeva con gran delicatezza.
Vidi con sorpresa che nel suo palmo era posata una fiammeggiante lingua di fuoco. Senza preamboli me la offrì, facendomi capire che la dovevo prendere appoggiando il palmo della mia mano sinistra al suo. Nel farlo, sentii che la lingua di fuoco era assorbita dal mio corpo. Tre volte lo stregone mise la sua mano nel fuoco e mi offrì quel pezzo di fiamma. Tre volte accettai il suo dono. Poi, facendomi un cenno con la testa, mi invitò ad osservare il falò. Così feci e potei rendermi conto che tra le fiamme v’era un serpente con il capo eretto. Era un cobra, lo riconobbi dal cappuccio sul collo.
Aveva un color rame metallico. Era tranquillo, nel suo bagno di fuoco. Lo stregone parlò. Mi informò che ero stato iniziato alla “Fratellanza del Drago“. La notte era profonda e protettrice. Mi diede indicazioni di sedermi in silenzio vicino a lui. Lo feci imitandolo, incrociando le gambe e volgendo il mio corpo verso il nord, dal quale soffiava una soave brezza. Permanemmo così, silenziosi e immobili, una insensibile eternità.
Poi, senza sapere come, i nostri corpi si alzarono privi di gravità per alcuni centimetri dal suolo ed iniziarono a girare intorno al falò, guardando sempre verso lo stesso punto cardinale. Ruotavamo in senso contrario alle lancette dell’orologio e notai che, nel breve attimo in cui il falò rimaneva alle nostre spalle, passavamo sopra un cerchio disegnato, sul suolo, con strani caratteri che non seppi interpretare.
Quando l’aurora si riflesse nell’oscuro cielo, lo stregone mi ordinò di camminare verso il sole nascente. Mi indicò che seguendo quella direzione avrei incontrato due corsi d’acqua. Il primo conteneva acqua comune, utile per placare la sete del corpo.
Nel secondo scorreva un’acqua medicinale di origine minerale, che serviva per saziare la sete “di vita”. Dopo molto camminare incontrai i due ruscelli esattamente come me li aveva segnalati, tuttavia, il fiume di acqua medicinale aveva il letto arido. Desideravo provare le sue acque, per cui presi la decisione di rimontare fino alla sorgente e così bere il prezioso liquido, il più vicino possibile all’origine. Seguendo il letto prosciugato giunsi fino alla cima di un grande spuntone di pietra.
Lì potei rendermi conto che quel corso d’acqua sorgeva da un piccolo edificio di architettura indoarabica. Attraversai la soglia priva di porte e così ebbi accesso ad un’enorme scala che scendeva nelle viscere della terra.
A lungo la percorsi, sino a quando giunsi ad una galleria nel cui centro cresceva un gigantesco e vetusto albero che si trovava in uno stato malandato. Appariva rinsecchito ed i suoi grandi rami erano crudelmente mutilati. Mancava di foglie e dava l’impressione di essere un albero morto. E tuttavia, io sapevo che era ancora vivo. Giunto al grosso tronco vidi che, sul suolo, erano diversi vasi d’argilla contenenti acqua.
Li utilizzai tutti innaffiando con essi le radici arse per la sete. Avevo terminato quando alcuni colpi secchi richiamarono la mia attenzione. Spinto da ciò mi misi a studiare la caverna nella quale mi trovavo. Era ovvio che esisteva in qualche luogo qualcuno incaricato della sua cura, giacché constatavo una certa simmetria e ordine che non erano propri a luoghi soggetti alla spontaneità della natura. Molte porte davano su quella galleria. Tutte erano serrate.
Osservandole mi accorsi che i colpi, che udivo, provenivano da un vecchio portone di legno, il quale si scuoteva davanti al violento urto di “qualcosa” rinchiuso dietro di esso. Improvvisamente la mia mente si aprì e compresi ogni cosa. Lì rinchiuso, dal guardiano di quel posto sotterraneo, si trovava lo Spirito dell’Albero.
Un tipo di forza intelligente disposta a distruggere per negligenza l’antico albero posto al centro del giardino ed alla quale ne era stata attribuita la cura.
In quel momento i custodi del luogo, un uomo ed una donna, entrarono nel recinto e cominciarono a imprecare contro di me per aver dato acqua al tronco rinsecchito, perché con quel gesto avevo rinnovato il vigore dello spirito rinchiuso.
Non potei negare nulla, ché nelle mie mani, ancora gocciolante, tenevo uno dei recipienti di argilla. Le voci della coppia infuriarono in tal modo lo spirito, che questi riuscì ad abbattere l’enorme portone e a liberarsi. Emerse dalla sua oscura prigione proprio di fronte a me. Il suo potere era incredibile. La sua forma, simile ad un ciclone o tromba marina. Per alcuni istanti mi osservò. Gli mostrai, allora, il contenitore bagnato che tenevo nella mano destra. Comprese tutto.
Lanciando un muggito inumano si gettò sulla coppia e la divorò. Io, senza sapere che fare, attesi il mio destino. Lo Spirito dell’Albero mutò il suo aspetto furibondo. Mi si avvicinò lentamente nella forma di una barra verticale di luce rossa. Era larga cinquanta centimetri e fluttuava nell’aria sopra la mia testa. Mi parlò con voce di tuono. Mi disse che a partire da quel momento egli era il “Guardiano delle Radici” e che avrebbe premiato il mio gesto donandomi la sua amicizia.
Detto questo venne sopra di me e posandosi sulla mia testa sentii come quell’energia, in forma di colonna luminosa, mi penetrava attraverso di essa fino alla gola. Un tepore confortevole mi inondò e mi sentii fisicamente sano. Senza sapere cosa, lo spirito fece qualcosa di indescrivibile dentro di me e mi cambiò. Mi sentii come appena nato. Tutte le mie infermità erano scomparse. Quando lo spirito mi lasciò, mi resi conto che tutta la caverna era rinverdita.
Sul suolo cresceva una soffice erba, sulle rocciose pareti aderivano i rampicanti e le edere. Il vecchio albero si presentava frondoso e turgido. I suoi rami mutilati ora erano completi e sovrabbondanti di foglie. Dalle sue radici sgorgava una sorgente di acqua fresca e cristallina: questa era l’origine del ruscello medicinale.
Mi avvicinai al rovere. Un enorme serpente di colore verde acceso si occultava nel fogliame. Notai che ai suoi fianchi, intorno al corpo, aveva disegnati in nero strani caratteri a me sconosciuti. Improvvisamente qualcos’altro richiamò la mia attenzione. Era un colibrì che volteggiava fra i rami molto vicino a me. Il suo capo ed il suo corpo erano di un rosso intenso, scarlatto, mentre le sue ali e la coda erano nere.
Lo Spirito dell’Albero, ponendosi al mio fianco, mi fece segno di acciuffarlo. Provai, però non vi riuscii, l’uccello era troppo rapido per me. Allora, lo spirito mi consigliò di osservarlo senza pensare a nulla e, quando avessi sentito l’impulso interno, di provare a prenderlo. Seguii il consiglio e così riuscii a prendere, con la mia mano destra, il colibrì per il capo.
Nello stesso istante in cui lo afferrai l’uccello smise di essere qualcosa di vivo e si tramutò in un oggetto inanimato, vuoto, dalla consistenza di una pergamena. Iniziò a sfaldarsi tra le mie dita. Per evitare ciò, lo posi sopra il palmo della mano sinistra, tuttavia continuò a dissolversi. In questo modo lasciò scoperta una pietra bianca, del diametro di circa un dito, su cui soffiai per ripulirla dei resti polverosi che non mi consentivano di apprezzarla con chiarezza. Il suo colore era simile al salgemma.
La sua forma, sferica, era intagliata con l’apparenza di un bocciolo di rosa. Era un lavoro semplice e primitivo. Lo spirito fece risuonare la sua voce nelle mie orecchie:
“È la Pietra Filosofale, la meta degli alchimisti. Diluiscila in vino di Sole e bevila. Solo così possiederai il segreto dell’immortalità.”
In quel preciso istante sparì.
Dopo aver ascoltato quel sogno un rumore si fece sentire tra i presenti, perché alcuni si chiedevano meravigliati quale fosse il significato. Allora un visitatore, che poco prima era giunto, gridò:
“Alcuni dicono che sei il demonio.”
E cercava con ciò di confonderlo e denigrarlo davanti gli occhi di tutti i presenti. Allora Lucifero, con voce chiara e serena esclamò:
“Forse non è colui che chiami Diavolo figlio anche di colui il quale chiami Dio?
Se nel principio v’era solo ciò che chiami Dio, il supremo Bene, allora per primo fu il Bene e poi il Male.
Pertanto il Male uscì dal Bene, perché nulla può nascere dal nulla.
E poiché il Male si originò dal Bene ecco che la funzione del Male è benefica, perché nulla di male può sorgere da ciò che è bene.
Colui che chiami Dio è il maestro gentile e amoroso che educa con bontà.
Ciò che chiami Diavolo, è il maestro duro e rigoroso che ci insegna attraverso la severità.
Pertanto non rinnegare il Diavolo, che alcuni di noi son tanto folli da imparare solo con duri colpi.
Pertanto non odiare il Diavolo, perché attraverso le sue prove ci facciamo forti e liberi e accediamo al supremo Bene.
Siete forse talmente ciechi da non darvi conto che Dio e Diavolo sono le due facce di una stessa moneta?!
Allora dalle gole di alcuni dei presenti sfuggì un’esclamazione di stupore, perché compresero le parole di Lucifero e si svegliarono, ponendo le loro menti al di là del Bene e del Male.
Ma lo sconosciuto replicò
“Qual è la tua religione?”
“Non vi è religione più grande che la Verità.”
Esclamò il Portatore di luce.
“La vostra saggezza soffre del peccato della superbia e non si basa sulle sacre scritture.”
Insistette lo straniero.
Disse allora Lucifero:
“Soffro del peccato di superbia perché desidero esser tutto ciò che sono: voglio esser diamante anche se la mia origine è il carbone.
Non baso la mia conoscenza su ciò che dicono i testi sacri o in ciò che affermano gli anziani, non baso la mia saggezza su ciò che mormorano gli eruditi o assicura la maggioranza.
La mia sapienza si basa su ciò che io stesso ho sperimentato senza intermediari o interpretazioni aliene, poiché è l’esperienza propria e diretta ciò che dona la vera sapienza.
La vita si conosce vivendola e non attraverso credenze, opinioni, speculazioni, teorie, religioni o libri.
Desideri leggere un libro? Leggi il libro della sapienza. Quel libro siete voi stessi, leggetelo così: dirigete la vostra attenzione verso voi stessi, le vostre sensazioni, i vostri movimenti, il vostro respiro, emozioni e pensieri e in ogni momento permanete sereni, attenti, vivendo l’attimo.”
Allora il visitatore meravigliato da quella strana saggezza tornò a domandare:
“Maestro, chi siete in verità?”
Al che egli rispose:
“Io sono la Vita, “il Lucifero”, il Portatore della Luce, la Stella del Mattino che annuncia la fine delle tenebre e la venuta dell’Impero del Sole. Sono Lucifero, sono Prometeo, colui che fece scaturire dal nulla il divino fuoco della sapienza, del potere e della luce e lo consegnò agli uomini. Ed anche essendo il più odiato nel cielo sono, tuttavia, il più amato, perché grazie a me è stata redenta l’oscura materia. Perdendo la mia purezza spirituale e cadendo negli abissi ho portato vita, coscienza e conoscenza ad ogni carne e l’ho sospinta verso i cieli. Comprendete questo paradosso e comprenderete il mistero dell’universo.”
Ed avendo pronunciato queste parole cadde sui presenti un profondo silenzio. Ed insieme al silenzio cadde la notte, coprendo col suo manto stellato tutti i viventi. Conservare la serena quiete è il suo principio, raggiungere ciò che è equanime e imperturbabile la sua meta.
Colui che segue il sentiero del Drago è come l’acqua: anche adattandosi ad ogni forma non si cristallizza in alcuna.
E volgendosi al vecchio guerriero, a colui che una volta fu ferito mortalmente al cuore, disse:
“Guerriero solitario che segui il sentiero del raggio della luce: dovrai immergerti nella profonda oscurità e trovare nelle tue radici la vita sempiterna. Solo così arriverà il momento in cui ciò che veglia dall’altro lato salirà alla luce del giorno. Verrà dall’altro confine dell’abisso pletorico dell’immortalità, del potere, della volontà e della sapienza. E così si compirà il tempo in cui abbandonando ogni cosa ti impadronirai dell’universo.”
Ed il vecchio guerriero comprendendo le parole di Lucifero rimase in silenzio. E attraverso il silenzio, acquietò il suo cuore.
E col cuore rasserenato entrò in profonda meditazione. Ma quando aprì gli occhi, poco prima dell’albeggiare, Lucifero già non era più tra loro e la Stella del Mattino brillava con superbo fulgore sopra l’orizzonte.
Tutto ciò che è l’opera del Sole è stata esposta.
Friedrich Von Licht
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