L’arca dell’alleanza rappresenta uno degli oggetti più emblematici dell’età antica. Ancora oggi se ne parla e si costruiscono congetture rispetto al suo reale significato, spesso mistificato come un semplice simbolo che suggellava la pace tra uomini e Dio.

La storia dell’arca dell’alleanza è considerata a metà strada tra la leggenda e la realtà. Essa è ampiamente menzionata nel libro dell’Esodo dell’Antico Testamento biblico, costituendo uno degli oggetti più misteriosi del mondo antico, che ha favorito le più ampie e diverse speculazioni interpretative.

Secondo le testimonianze bibliche, si sarebbe trattato di una cassa di legno di acacia con il coperchio d’oro, nella quale erano custodite le Tavole della Legge affidate da Dio al patriarca Mosè durante la presunta visione sul monte Sinai. Per la sua straordinaria funzione, l’arca dell’alleanza costituiva il segno visibile della presenza di Dio, tra i fedeli del popolo di Israele. Il libro dell’Esodo non si limita ad una descrizione superficiale dell’arca, ma ne determina con una certa precisione anche le dimensioni e le caratteristiche.

Il sacro contenitore misurava due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza e di altezza, ben saldato con quattro anelli d’oro, a cui si aggiungevano due stanghe di legno dorato che servivano a sollevare l’arca quando essa veniva trasportata. Di grande impatto simbolico erano le due statue collocate sul coperchio d’oro: due cherubini con le ali spiegate che i mistici cabalistici di molti secoli dopo identificavano negli angeli Metatron e Sandalphon.

Alcuni racconti fantastici delineavano, a proposito dell’arca, particolari fenomeni soprannaturali, ritenendola capace di risplendere, in talune circostanze, di luce divina e di emettere lampi e folgori che potevano incenerire gli sfrontati non rispettosi dell’assoluto divieto di non avvicinarsi ad essa.

Come si diceva all’inizio, l’arca dell’alleanza custodiva le Tavole della Legge elargite a Mosè, che rappresentava il contenuto più importante del venerato cimelio. Tuttavia, si credeva che nell’arca vi fossero altri simboli significativi della fede del popolo di Israele, come un vaso in cui era raccolta una piccola quantità di manna recuperata da Aronne, nonché la verga fiorita dello stesso sacerdote.

Certi filoni aggiungono anche il mitico bastone di Mosè e l’olio riservato ad i rituali di unzione dei sacerdoti e dei re d’Israele. Altri libri dell’Antico Testamento, come il I dei Re ed il II delle Cronache, sembrano testimoniare che, nel periodo di splendore del Tempio di Salomone, l’arca dell’Alleanza contenesse soltanto le tavole mosaiche.

Quanto fosse importante la venerazione dell’arca per il popolo ebraico, è dimostrato dal fatto che essa, durante il gravoso e lungo trasferimento nel deserto, doveva rimanere sempre presso il loro accampamento, appunto come segno visibile della benevolenza di Dio nei confronti della stirpe prediletta. Il compito di trasportare l’arca era affidato esclusivamente alla tribù di Levi, così come tutti gli incarichi di tipo liturgico e sacerdotale.

Per tutti gli altri vi era il divieto assoluto di toccarla. Nel II libro di Samuele si narra che, quando il re Davide ordinò di trasportare l’arca a Gerusalemme, durante il tragitto un uomo la toccò, soltanto con l’intento di sostenerla, ma non essendo un membro della tribù d Levi, morì all’istante. Anche le modalità di trasporto erano ben codificate, poiché era previsto che l’arca fosse portata in giro, protetta da un telo di pelle di tasso, sulla quale era posto un ulteriore telo di stoffa.

Quando i nomadi Ebrei si accampavano nel deserto, l’arca non era mai lasciata incustodita od esposta al pubblico, se non proprio in casi del tutto eccezionali, ma era collocata sotto un’apposita tenda, denominata “tenda del Signore” o “tenda del convegno”, alludendo all’incontro continuo con la divinità, consentito appunto dalla presenza dell’arca dell’alleanza in mezzo a loro. Raggiunta la Terra promessa, gli Ebrei posero la “tenda del convegno” contenente l’arca dell’alleanza a Silo, dove non si mosse fino ai tempi di Samuele, quando fu portata in battaglia contro i Filistei, affinché potesse garantire loro protezione e vittoria.

Dio in quell’occasione non ascoltò le suppliche del suo popolo, perché vennero duramente sconfitti e la preziosissima arca fu catturata dai nemici, non risparmiando dal saccheggio neanche il tabernacolo dove l’arca era custodita. I Filistei credevano che quella grande cassa avesse poteri magici, considerato il grande valore sacrale attribuito ad essa dagli Ebrei.

Ma giustizia divina vi fu, in quanto il 1 libro di Samuele racconta che, a seguito della profanazione dell’arca, tra i Filistei scoppiò una terribile pestilenza che li convinse a restituirla ai legittimi proprietari. Dopo un breve periodo in cui la grande cassa fu conservata nella città di Kiryat Ye’arim, il re Davide la fece poi portare presso la rocca di Gerusalemme, trovando definitiva collocazione nel Debir, il sancta sanctorum del tempio fatto edificare dal re Salomone.

La tradizione vuole che la cassa sia rimasta nel tempio fino all’arrivo dei Babilonesi, inaccessibile al popolo e ad un gran numero di sacerdoti, tranne un ristretto numero ben selezionato della tribù di Levi. Riguardo alla permanenza dell’arca o di una sua copia non vi è ricchezza di fonti, se non una citazione nel II libro delle Cronache, dove il re Giosia invita i sacerdoti a riportare l’arca nel tempio, anche se non è chiaro da quale luogo. Il particolare più strano e che ha fatto riflettere gli storici e gli esegeti è costituito dal fatto che, dopo il saccheggio dei Babilonesi nella città di Gerusalemme, dell’arca non si fa più menzione nella Bibbia.

Anzi il 2 libro dei Re riporta una descrizione ben dettagliata di tutti gli oggetti sacri saccheggiati e condotti verso Babilonia, ma dell’arca dell’alleanza non vi è alcuna traccia. Ed ancora, il libro di Esdra racconta che Ciro, il re dei Persiani, restituì gli oggetti sacri che erano stati portati a Babilonia durante l’esilio, ma ancora dalla grande cassa non si fa nessuna menzione.

Nel Nuovo Testamento i riferimenti all’arca sono molto poveri di contenuto, suonando piuttosto come riferimenti nostalgici alla grande tradizione del passato e non come citazioni di un oggetto sacro vero e proprio. Soltanto nel libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos, il significato simbolico dell’arca dell’alleanza sembra riecheggiare la grande funzione di custode della legge che aveva avuto nell’epoca mosaica.

L’autore, al momento della settima tromba, descrive la seguente visione: “si aprì il tempio di Dio che è in cielo e apparve nel tempio l’arca dell’Alleanza. Vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto e una forte grandinata”. In tale contesto, l’arca è collocata in una sorta di santuario celeste, rendendosi visibile soltanto nel giorno del giudizio.

In merito alla sorte dell’arca dell’alleanza, in epoca successiva alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, sono state fatte numerose speculazioni, ipotizzando innanzitutto che la grande cassa sia andata persa durante un saccheggio o a causa di un incendio, in considerazione del materiale ligneo altamente infiammabile. L’altro filone principale, contenendo l’arca un’ingente quantità di oro, ritiene che essa possa essere stata rubata durante uno dei tanti attacchi da parte delle truppe dei popoli ostili al popolo ebraico.

Alcuni storici ritengono plausibile che l’arca dell’alleanza sia stata rubata già nella prima parte dell’VIII secolo a.C. da parte di Ioas, re di Israele con capitale Samaria, quando la Palestina era divisa in due regni. In seguito, quando gli Assiri conquistarono il regno del nord, l’arca potrebbe essere stata trasportata in una qualsiasi città verso oriente. Come detto in precedenza, il fatto che il prezioso manufatto non fosse annoverato tra gli oggetti trovati dall’esercito di Nabucodonosor II, all’inizio del VI secolo a.C., suggerisce che probabilmente era scomparso già da molto tempo.

La tradizione del Talmud ebraico, forse con intenti apologetici, riporta che re Salomone, profetizzando la futura distruzione del tempio, avrebbe fatto costruire un vano sotterraneo al “sancta sanctorum”, per difendere l’arca dell’alleanza dagli attacchi dei nemici. E il Talmud conferma la stessa presunta collocazione della cassa anche durante gli anni del “secondo Tempio”, prima della ulteriore distruzione ad opera dell’imperatore Tito.

Un riferimento specifico all’Arca si trova nel II libro dei Maccabei, inserito nel canone biblico cattolico ed ortodosso, ma disconosciuto dalla bibbia masoretica (canone ebraico) e dai Protestanti. secondo cui il profeta Geremia avrebbe portato via l’arca da Gerusalemme e l’avrebbe nascosta sul Monte Nebo.

Vi sono, a tale proposito, due importanti considerazioni da fare: la prima riguarda il fatto che il II libro dei Maccabei si riferisce ad eventi avvenuti molti secoli prima, trasfigurati nei fatti contemporanei; la seconda osservazione si rivolge all’intento escatologico di tale testo, che vuole sottolineare la forte simbologia dell’arca per la promessa soteriologica del popolo ebraico. Altri testi ci portano in vari luoghi, ben distanti da Gerusalemme e dalla Palestina.

Tra queste testimonianze, una delle più celebrate, è quella contenuta nel libro sacro etiope “Kebra Nagast”, il libro della Gloria, secondo la quale l’arca sarebbe stata regalata dal re Salomone, nella seconda metà del X secolo, a Menelik, il figlio che avrebbe avuto dalla regina di Saba, una delle donne più leggendarie dell’antichità. I sacerdoti etiopi della cattedrale di rito copto, Nostra Signora Maria di Sion, situata ad Axum, affermano di essere ancora i custodi dell’arca dell’alleanza.

Questa asserzione non può essere verificata, in quanto gli Etiopi si trincerano dietro la segretezza della grande cassa, conservata in una cappella ed affidata alle cure di un custode che vive in totale solitudine, senza alcun contatto con il mondo esterno. Nel 2009 il patriarca della Chiesa ortodossa etiopica, nel corso di una conferenza stampa a Roma, ha ribadito che il trono dell’arca dell’alleanza si trova nel suo Paese, per volontà di Dio, da circa tremila anni.

Non mancano altre ricostruzioni che si riferiscono al continente africano, come quella che indicherebbe l’arca sepolta vicino alla città egiziana di Tanis, portata ivi dopo l’invasione della Giudea compiuta nel 925 a.C. da parte del faraone Roboamo, oppure l’altra che colloca la grande cassa nello Zimbabwe, nell’Africa Meridionale, dove si troverebbero anche le leggendarie miniere d’oro di re Salomone.

Collegati alla possibilità che l’arca sia sopravvissuta fino all’epoca del “secondo tempio”, altri frammentari riferimenti riportano che l’arca dell’alleanza sarebbe stata donata dall’imperatore Tito alla principessa Berenice di Cilicia, sorella del re Erode Agrippa II, che l’avrebbe custodita nella sua patria. In epoca recente, l’arca dell’alleanza ha suscitato l’interesse non solo delle confessioni religiose, degli storici e degli archeologi, ma anche di numerosi scrittori, documentaristi e produttori cinematografici, come George Lucas e Steven Spielberg, da cui il film “cult”, “I predatori dell’Arca perduta”, con il famoso protagonista Indiana Jones.

Dal punto di vista strutturale, è stato osservato che i due cherubini presenti sull’arca non assomigliavano affatto agli angioletti dai riccioli d’oro dell’iconografia cristiana, ma a figure algide e stilizzate più simili a quelle presenti in molti templi egiziani, sottolineando la presunta assimilazione di molti elementi di questa grande civiltà da parte della tradizione ebraica. Il simbolismo che si può leggere nella struttura dell’arca è quanto mai vasto e ricco.

In sintesi, essa era composta da due pezzi principali: un parallelepipedo inferiore ed un coperchio per la relativa chiusura. Gli interpreti ne intuiscono facilmente la rappresentazione della terra e del cielo, osservando che, anche se in natura il nostro pianeta ha una forma sferica, la forma geometrica che lo rappresenta meglio, a livello spirituale, è il cubo. La tradizione cabalistica afferma che l’universo attuale si fonda, per lo più, sulle forme sferiche, mentre quello progettato per il futuro dovrà avere una forma cubica.

Tale trasformazione dovrebbe segnare il passaggio dal tempo circolare (eterno ritorno) a quello rettilineo, in grado di condurre verso un traguardo del tutto diverso dal punto di partenza. Nello specifico, l’arca dell’alleanza non corrispondeva esattamente ad un cubo, ma ad un parallelepipedo, indicando “i nuovi Cieli” e la “nuova Terra”, ancora nello stato di continuo movimento. In più, è interessante notare che il parallelepipedo inferiore era formato da tre distinte scatole, di cui le due esterne erano entrambe d’oro, mentre la mediana era costituita di acacia: il contenitore dell’Arca voleva significare l’anima avvolgente, mentre le tavole della legge collocate al suo interno volevano simboleggiare l’anima interiore.

Se volessimo applicare un linguaggio moderno, adattato a tale manufatto antichissimo, potremmo dire che i costruttori della cassa avevano concepito un sistema di “doppia schermatura”, allo scopo di isolarla dai campi energetici negativi e di attirare solo quelli benefici e positivi. Non a caso il materiale utilizzato in prevalenza era stato l’oro, simbolo alchemico della più alta consapevolezza, chiamato anche con il nome di “oro filosofico”. Considerato che la parte superiore era costituita da un solo pezzo e quella inferiore da tre pezzi, possiamo individuare chiare allusioni alla realtà quadrimensionale in cui viviamo, così determinata dalla fisica moderna.

La sapienza esoterica, però, ha sempre creduto nell’esistenza di una quinta dimensione, la cosiddetta “quintessenza”, che potrebbe identificarsi con il contenuto dell’arca, cioè con le tavole della legge affidate da Dio a Mosè. Gli stessi materiali con cui era stata costruita l’arca richiamano concetti ben precisi. I materiali usati, infatti, provenivano dai tre regni inferiori: minerale (metalli e pietre preziose), vegetale (legno e tessuti), animale (pelli o lana), simboleggiando tutto ciò che di buono la natura può offrire all’uomo, posto da Dio a guida del pianeta.

Il termine “arca”, peraltro, deriva dall’antica matrice indoeuropea che significava “custodire” o “segreto”, dimostrando come le opere dell’ingegno umano non dovrebbero inseguire soltanto una funzione pratica ed utilitaristica, ma dovrebbero poter rendere attuabili principi superiori che favoriscano un processo per migliorare la coscienza di sé.

Nella tradizione biblica il fondamentale archetipo di ogni costruzione sacra è proprio “l’Arca di Noè”, strumento indispensabile per salvare tutte le specie animali create da Dio dal disastro provocato dal diluvio universale. Soltanto l’arca costruita da Noè riuscì a mettere in salvo la sua famiglia e gli animali, in quanto i criteri seguiti non tenevano conto soltanto di elementi fisici, ma soprattutto di importanti aspetti metafisici, in grado di assicurare la protezione dall’ira della punizione divina.

È un tipo di esempio acronico, quanto mai attuale nella nostra frenetica epoca moderna, in cui molte scelte tengono conto solo di motivazioni economiche e contingenti, perdendo di vista molto spesso l’interesse globale.

Articolo di Lugi Angelino


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