Se consideriamo da una parte il bene e il male il piacere e la sofferenza dall’altra, dobbiamo constatare che, in maniera molto generica, vengono associati in questo modo: piacere e bene da un lato; sofferenza e male dall’altro.
In altre parole il piacere è bene, la sofferenza è male. E tuttavia chi non ha mai sperimentato che, se la sofferenza fa male, può nello stesso tempo fare del bene? La deduzione che il patimento sia un male è una superstizione che si fa sempre più acuta nella nostra società contemporanea.
C’è un patimento che ci fa sempre del male: è un falso patimento, una sofferenza negativa di cui abbiamo già parlato. Il vero patimento ci porta sempre un bene sostanziale.
Le sofferenze, vere o false, possono essere esteriori o interiori. Il criterio della sofferenza vera è che essa ci aiuta a salire, le false sofferenze ci fanno cadere.
Le civiltà tradizionali erano dure, nondimeno esse arrecavano un reale appagamento agli uomini di essenza forte che avevano il coraggio di accettare quelle dure condizioni. Gli altri, più deboli, acquisivano tuttavia, all’interno di quell’ambiente, il massimo che potevano raggiungere di accrescimento interiore.
Da ciò non consegue però che essi ottenessero l’appagamento. Le civiltà moderne rifiutano tutto ciò che è sofferenza. Esse cercano di togliere dalla vita dell’uomo tutte le difficoltà, tutti i dolori. Le donne – o gli uomini – sono persino arrivate a non accettare più le sofferenze della maternità. È una bevanda intollerabile. Le civiltà moderne creperanno di questo rifiuto di soffrire.
Abbiamo già parlato dell’idea riguardante il posto dell’uomo nell’Universo. Siamo veramente al nostro posto poiché siamo qui. E il nostro posto determina le leggi alle quali dobbiamo sottometterci. Per la nostra sfera terrestre esiste la legge della sofferenza: dunque il patimento è una delle condizioni del nostro perfezionamento.
Bisogna che vi abituiate a considerare la sofferenza in questo modo. Il nostro corpo ha un ruolo importante per la crescita dell’essenza di cui fa parte. Dunque bisogna che sia forte ed è attraverso lo sforzo e il patimento che bisogna indurirlo. Esso è naturalmente capace di resistere al freddo, la fame, alla fatica.
L’aumento crescente del benessere impedisce agli uomini contemporanei di acquisire o di conservare le loro capacità di resistenza. Essi perdono dunque le loro proprietà naturali. In altre parole essi cadono, si degradano.
Quanto alle sofferenze morali, vi si apportano palliativi di ogni genere. Per convincersene ci si deve soltanto ricordare di tutti gli sforzi della scienza per vincere la morte. L’uomo non vuole più soffrire, non vuole più morire.
La conseguenza immediata di questo atteggiamento è il proliferare delle emozioni sgradevoli. La sofferenza vera, costruttrice, che si è rigettata, si ripresenta sotto la forma dell falso patimento, distruttrice delle energie. È un’imitazione verso il basso.
La sofferenza sana risulta dal confronto e dall’armonizzazione del nostro atteggiamento con quello della dea Natura (se non si celebra il suo culto, essa nondimeno esiste) che ha regolato per noi tutte le cose. Siamo nel vero quando ci sottomettiamo alle leggi sotto le quali essa ha posto il nostro mondo.
La sofferenza sana è costruttiva per ogni uomo che sia portatore di un’essenza valida. Essa distrugge le essenze deboli. Le civiltà tradizionali producevano essenze forti. Ph. Lavastine ha ritrovato su vecchie pergamene dell’India un testo dove si dice che le donne partorivano sul letame. È certo che questa misura tendeva a distruggere alla nascita le essenze deboli.
Vorrei in particolare parlarvi di un sentimento del tutto automatico e che è diffuso dappertutto: la pietà. Tale sentimento era esecrato dagli Antichi, per essi era spazzatura.
Colui che ha pietà dà importanza ad un patimento che non conosce e lo fa quasi sempre per egoismo, col terrore che questa sofferenza sarebbe potuta essere sua. La pietà fa cadere chi la prova e chi la riceve. Essa aumenta il danno del falso patimento in chi la riceve e può persino rendere distruttiva una sofferenza che sarebbe stata costruttiva.
Io vi chiedo di non impietosirvi mai, se non per la miseria umana, la vera, la profonda miseria che è la condizione umana. Provatela negli altri e in voi: questa è una vera sofferenza. Si tratta allora della pietà cosciente, quella dell’uomo che ha coscienza della sua subordinazione e della sua nullità.
Ritroveremo, sotto l’automatismo della pietà, una delle grandi paure dell’uomo: la paura di soffrire. Ma sappiate che, colui che indietreggia davanti all patimento indietreggia nel senso assoluto del termine.
Avete potuto leggere in “Frammenti” quali reazioni produce il nostro insegnamento su alcuni dei suoi membri o di coloro che lo accostano: – Noi non abbiamo amore. Siamo duri -.
L’amore vero non è quello che si esprime verbalmente in ogni occasione. L’amore vero non si vede, si esprime solo con gli atti. Gurdjeff era senza pietà ed aveva amore per gli uomini.
Se l’uomo vuole salire deve essere spietato verso sé stesso. E, per solidarietà, deve essere duro con gli altri e non fare coro nell’espressione delle emozioni sgradevoli.
Ciò esclude ogni pietà automatica. Al contrario egli deve aiutare gli altri ad uscire dalla sofferenza negativa, distruttrice. È il vero senso della solidarietà umana. Dobbiamo essere duri con tutto ciò che fa cadere l’uomo, che lo uccide, negli altri come in noi stessi.
Anche i nostri figli sono per noi “gli altri”. Dobbiamo amare in loro ciò che li aiuta a salire e detestare ciò che li può perdere. Questo suppone che dobbiamo anzitutto rimanere lucidi e poi correggere, migliorare. In questo clima, che può essere molto penoso per il bambino, egli dovrà sempre sentire che lo si ama.
I genitori devono vedere i lati negativi nei loro figli e mai impietosirsi per un’emozione sgradevole, negativa. Al contrario essi devono invece tirarli fuori da questa trappola.
Un proverbio dice: “E’ meglio fare invidia che pietà”. In realtà molti di coloro che, fuori dalle mura domestiche, considerano la pietà come un’ingiuria, accettano o persino cercano una volta a casa loro, la pietà della moglie o del marito.
Chiarite bene a voi stessi che la pietà automatica esprime il contatto fra due debolezze che si indeboliscono a vicenda.
La sofferenza è una condizione di questo piano. Essa fa parte, come il tempo e lo spazio, delle 48 leggi che governano il nostro pianeta. Essa è, come le altre leggi, una condizione della nostra realizzazione. Ma se noi non l’accettiamo, se rifiutiamo lo sforzo necessario, essa può essere un’occasione di caduta attraverso la distruzione delle nostre energie.
Testo di Henriette Lannes
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