Dopo molti anni passati in monastero, Liang Ho fece ritorno a casa, per visitare i vecchi genitori. Nel villaggio si diceva che il monaco era un sant’uomo e che da tempo aveva raggiunto il completo distacco e pertanto l’illuminazione.
Il rispetto e la considerazione che la gente aveva per Liang Ho faceva rodere di invidia e gelosia un cugino del monaco, che si chiamava Chang Hui. Anch’egli, in passato, aveva abbracciato la vita monastica, ma l’aveva abbandonata quasi subito, ritenendola intollerabilmente dura.
Un giorno, mentre si trovava nel bosco, Chang vide suo cugino che camminava assorto, con passo lento e gli occhi socchiusi (nella pratica dello Zen, le dure sessioni di meditazione seduta, lo zazen, vengono spesso intervallate dalla meditazione camminata, il “kinhin”).
Colto da un irrefrenabile impulso omicida, Chang raccolse una grossa pietra e, senza pensarci due volte, la scagliò con tutta la sua forza mirando alla testa dell’odiato cugino.
La pietra mancò Liang Ho, cadendo a pochi metri da lui. Egli vide il cugino e, dalla sua espressione stravolta, comprese cosa era successo. Pur non di meno, senza far trasparire alcuna emozione, continuò lentamente a camminare.
Il giorno dopo Liang Ho incontrò il mancato omicida e lo salutò calorosamente, chiedendogli come stava.
Stupito dal comportamento affabile del cugino, Chang gli chiese:
– Ma come? Non sei adirato con me? Non provi risentimento? Non cerchi nessuna rivalsa?
– Certo che no! – rispose Liang, sorridendo.
– E come mai…? gli chiese Chang, sempre più confuso.
Al che il monaco rispose:
– Anche volendo, come potrei? Tu non sei più quello che ha lanciato la pietra. Come io non sono più quello che ieri camminava nel bosco.
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