di Sir Laurence Gardner
I Risplendenti
La dinastia messianica del Graal, la “razza elfica”, venerata come quella de “i Risplendenti”.
Prima che nel corso del Medioevo l’Inquisizione della Chiesa soffocasse formalmente la tradizione del Graal, i malcapitati cristiani eterodossi (così, al tempo, venivano chiamati gli eretici) comprendevano anche i Catari, termine che tradotto in Linguadoca, l’idioma dell’omonima regione del sud della Francia dove il movimento si era affermato, significava “i Purissimi” (cfr. HERA n° 16 pag. 56).
I Catari mostravano una forte connessione con la cultura dei Signori dell’Anello (che prende il nome da Re Salomone, il “Signore dell’Anello” per eccellenza, e la cui tradizione nasce in Mesopotamia, N.d.R.) e, in accordo con la tradizione, si riferivano alla dinastia messianica del Graal come alla “razza elfica”, da loro venerata come quella de “i Risplendenti”.
Nella lingua in uso nell’antica Provenza, un Elfo donna era detta albi (elbe o ylbi), mentre “Albi” era il nome del più importante centro cataro della regione.
Questo nel rispetto della linea di discendenza femminile della dinastia messianica del Graal, perché i Catari erano sostenitori della cosiddetta Albi-gens (Albigesi o popolo Elfico): il lignaggio di sangue disceso per il tramite delle regine del Graal, quali Lilith, Miriam, Betsabea e Maria Maddalena. Fu per questa ragione che, quando nel 1209 le armate di Simone di Montfort e di papa Innocenzo III si mossero contro i presunti eretici, si parlò di Crociata degli Albigesi.
Nel corso di circa 35 anni, decine di migliaia di innocenti vennero letteralmente massacrati nel corso di una campagna militare feroce, e questo soltanto perché gli abitanti della regione tenevano ancora viva la tradizione originale della discendenza graaliana, in tutto opposta alla nuova, basata sull’idea di monarchia imposta dal papato.
Ma i Catari erano ben altro, rispetto alle poche notizie che una disinformazione precostituita tenta di propinarci da secoli sul loro conto.
L’Origine dei Risplendenti
Il concetto di appellare la stirpe regale della dinastia messianica del Graal come i “Risplendenti”, con il chiaro richiamo anche agli “Elfi”, rimanda molto indietro nel tempo, fino alla Bibbia e a tracce risalenti alla Mesopotamia (Iraq) e alla terra di Canaan (Palestina).
Fra gli scrittori che hanno condotto attente ricerche sulle radici etimologiche vigenti nei secoli precedenti la nostra era, Christian e Barbara Joy O’Brien sono certamente fra i più illustri. Christian, già lettore di Scienze Naturali al Christ’s College di Cambridge, ha trascorso alcuni anni come geologo esploratore in Iran, dove ha contribuito alla scoperta della ziggurat di Tchoga Zambil.
A partire dal 1970 ha concentrato la sua ricerca sui tanti enigmi che percorrono la preistoria, scrivendo assieme con la moglie molte opere di grande interesse.
Nel libro “The Genius of the Few” essi rivelano che l’antica parola “El”, usata per identificare un dio o un essere elevato (come nei termini El Elyon e El Shaddai), nel linguaggio della mesopotamica Sumer significava “Risplendente”.
A nord, a Babilonia, il vocabolo derivato Ellu voleva dire “il Risplendente”, come Ilu ad Accad. Col tempo il termine si era diffuso in Europa per diventare Ellyl nel Galles, Aillil in Irlanda, Aelf in Sassonia e Elf in Inghilterra (da cui Elfi e Albi).
Il plurale di El era Elohim, quella stessa parola usata nel testo biblico per intendere gli dei, ma strategicamente da sempre mal tradotta con “il Solo Dio” per uniformarsi alla tradizione giudeo-cristiana. In modo assai interessante, nella Cornovaglia gaelica e nel sud-ovest dell’Inghilterra, il vocabolo el era l’equivalente dell’anglosassone engel e dell’antico francese angele, divenuto angel in Inglese.
I Risplendenti fra gli Elohim (così come indicati nelle tavolette sumeriche risalenti sino al III millennio prima della nostra era) erano identificati con i cieli o, per lo meno, con un luogo posto in alto, chiamato An e spesso tradotto per significare il cielo (o, meglio ancora, i cieli).
In questo contesto le potenti divinità dell’antica Sumer erano chiamati Anunnaki (da Anun-na-ki che vuol dire “il cielo che giunge in terra”). Altre volte erano anche gli Anannage (da An-anan-na-ge), ossia “i fiammeggianti grandi figli del cielo” e fu proprio da questo antichissimo lignaggio degli Anunnaki che si avviò la dinastia dei Re messianici (che ha in Davide, Salomone e Gesù i suoi più noti rappresentanti N.d.R.), poi divenuta nel concetto del primo cristianesimo la Dinastia del Graal.
È per questo, dunque, che la tradizione prese a tramandare della linea dinastica elfica o, meglio ancora, della dinastia dei Risplendenti.
In merito a chi veramente fossero questi signori detti Anunnaki o Elohim si sta ancora dibattendo oggi. Gli antichi testi sumerici che parlano della loro “discesa” o della loro “venuta dai cieli”, lasciano adito a molte interpretazioni (…) non da ultima quella che si trattasse di una razza di alieni provenienti da un altro pianeta. Su questo argomento alcuni scrittori importanti, fra cui Zecharia Sitchin, il noto esperto di lingua sumerica, hanno pubblicato libri e ricerche di notevole interesse (…).
Esiste anche un’altra scuola di pensiero che riconosce negli Anunnaki i superstiti di un’antica razza umana sopravvissuti nel tempo.
In questa prospettiva, quando la tradizione dice che “scesero” si dovrebbe intendere in senso letterale, vale a dire immaginare uno spostamento da un luogo alto (per esempio un altopiano o una montagna) verso uno più basso e non tanto fantasticare di una discesa dallo spazio (…) (cfr. HERA n° 19 pag. 14).
Draghi e Pendragoni
Nella tradizione simbolica Catara aveva un ruolo fondamentale la figura del drago che, come vedremo, è collegabile al concetto di “Risplendente”.
Nella tradizione simbolica Catara aveva un ruolo fondamentale la figura del drago che, come vedremo, è collegabile al concetto di “Risplendente”.
Nell’antica leggendaria tradizione i draghi erano emblema di saggezza. Secondo i Greci si trattava di benevoli esseri donatori di luce, mentre i Gaelici li consideravano simbolo di sovranità e i Cinesi apportatori di sorte favorevole.
Fu soltanto con l’avvento della tradizione giudeo-cristiana che il drago divenne un essere sinistro e questo, al pari di tanti altri condizionamenti, lo dobbiamo al fatto che, purtroppo, questa cultura ha da sempre avuto più la vocazione a soffocare la conoscenza che la tendenza a farsene paladina.
Su questa base, il drago – simbolica immagine di colui che arreca saggezza e conoscenza – diventò un’immagine superflua e inutile, destinata ben presto ad essere relegata nell’oscuro e tetro reame dell’eresia.
La parola inglese “dragon” deriva da quella latina draco e ancora più in specifico da quella greca drakon, che significava serpente. Il vocabolo è affine e vicino a edrakon – una forma al passato del verbo derkeshtai, che significa “vederci chiaro” – e risulta equivalente a nahash, vale a dire il termine biblico con cui gli Ebrei appellavano il serpente.
Questa parola semitica (che, priva di consonanti, si scrive NHSH) in realtà era collegata a un grado del comprendere e significava “decifrare” o “scoprire”. Insomma, al serpente si associava l’idea di un essere che vedeva chiaramente le cose: dunque, per estensione del concetto, un essere dotato della capacità di vedere in modo limpido, ossia ricco di saggezza. Al serpente venivano pertanto attribuite qualità di sapiente, in grado di discernere con acutezza di giudizio.
Ed è proprio il termine nahash quello che compare nella storia della Genesi in cui si parla del peccato di Eva, quando il serpente la ammonisce rivelandole che, al contrario di quello che qualcun altro le ha fatto credere, non sarebbe affatto morta nel momento in cui si fosse cibata del frutto dell’Albero della Conoscenza.
Il potere del drago o del serpente era posseduto dai veggenti della cultura gaelica, i Merlini delle corti reali, i profeti dei sommi sovrani. Si trattava di una particolare categoria di sacerdoti druidi del tutto simili ai filosofi della classicità o magi e la loro schiatta affondava le radici in un’antichissima tribù di sacerdoti nota nel mondo indoeuropeo come i Sapienti. In latino erano detti Noblis, dal greco gnoblis, dalla radice verbale gno che significava “conoscere”: da cui, col tempo, “nobile” (gnoble) e “gnosi” (conoscenza).
Per consolidata tradizione, il simbolo della saggezza (in greco Sophia) e della guarigione era il medesimo, ossia il serpente (si pensi al serpente di bronzo o di rame di Mosè), tanto è vero che l’emblema è ancora oggi vivo in ogni angolo del mondo, a simboleggiare tutte le organizzazioni mediche.
Serpenti che intrecciano le loro spire costituiscono un’immagine molto diffusa anche nell’arte allegorica: basti ricordare le tele “Mosé” di Sébastien Bourbon e “Lilith” di John Collier.
Queste altre opere sono significative in quanto riconducono non soltanto al concetto di saggezza, ma pure a quello di nobile sapienza; in altre parole, alla preveggente saggezza druidica del drago. Nella Mesopotamia il drago, chiamato Mûs-hûs, era un essere a quattro zampe con compiti di guardiano, simile ad un coccodrillo sacro, anche se poi, nel tempo, la sua immagine ebbe a trasformarsi in quella di un grande serpente munito delle ali di un cigno, oppure, di un pipistrello.
Anche i re e le regine messianiche venivano chiamati Dragoni e Pendragoni, perché ad essi erano attribuite tutte le virtù dell’animale: l’indomito coraggio contro i nemici, l’estrema saggezza e non ultima la forza sessuale.
Sovente erano raffigurati con un’armatura a scaglie e sugli abiti comparivano emblemi serpentiformi, mentre la gnostica trascendenza della loro conoscenza era simboleggiata da mantelli sciamanici composti con piume di cigno. Questo aspetto piumato divenne rilevante nelle rappresentazioni artistiche degli angeli, a sottolineare la loro capacità di trascendere l’umana normalità, senza poi dimenticare che il vocabolo stesso “merlino” indicava un falcone capace di volare molto in alto e dalla vista acutissima.
Il Giglio, il Fuoco Stellare e il Rituale delle Regine Dragoni
Nelle Isole Canarie cresce una pianta chiamata “L’albero del Drago” (la dracena draco).
In Iran (l’antica Persia) e nelle Isole Canarie cresce una pianta chiamata “L’albero del Drago” (la dracena draco).
Appartiene al genere delle lillaceae, il giglio, e la sua resina è conosciuta come “sangue di drago”. Il rosso estratto che se ne ricavava veniva usato come colorante cerimoniale in Oriente, dove era conosciuto come lac (da cui il pigmento colorato o lacca usato dagli artisti col nome di rosso scarlatto). Da quanto appena detto, diventa pertanto facile comprendere perché il sangue di drago venisse sovente associato all’essenza del giglio.
Nel mio libro “Le misteriose origini dei Re del Graal” ho scritto come gli antichi sovrani mesopotamici della linea di sangue sovrana che avrebbe poi portato al concetto di Graal, erano nutriti anche con quella che veniva detta l’essenza lunare scaturita dalle regine Dragoni: una sorta di estratto derivato dal sangue mestruale delle donne Anunnaki, passato nella tradizione col nome di “Fuoco Stellare”.
Di esso si diceva essere “il nettare della suprema eccellenza”, in quanto conteneva tutti gli elementi essenziali di quello che noi oggi potremmo definire il DNA mitocondriale, comprese alcune secrezioni endocrine capaci di esaltare qualità interiori come la veggenza e la conoscenza sottile (cfr. Svelando e Rivelando n°20). In aggiunta, si è osservato come queste stesse regine fossero collegate al fiore di giglio lilaceae (o al loto) tramite il nome che portavano: Lilia, Lilith, Luluwa, Lilutu e Lillet.
Scaturisce da questa vera e profonda tradizione il lignaggio “du Lac”, così comune nelle vicende legate alla mitologia arturiana come, per esempio, Lancillotto du Lac. Da qui la fasulla traduzione inglese di Lancillotto del Lago, visto che quella vera avrebbe dovuto essere Lancillotto del sangue di drago (la stessa radice del nome Lancillotto cioé “Lung” significa “Drago” N.d.R.).
Lungo questa discendenza, la dinastia messianica del Graal trovò anche alcune varianti, fra cui, per esempio il lignaggio del Acqs, che significa “delle acque”, da cui la tradizione regale delle Dame del Lago (si ricordi che la Grande Madre è sempre sinonimo di “Signora delle Acque” e che nei templi più antichi venivano offerti sangue e latte N.d.R.).
La Rosi-crucis (la Coppa delle Acque o Coppa della Rugiada), emblema del Santo Graal veniva spesso identificata col sangue messianico, raccolto nel sacro calice del grembo materno. Sotto questo aspetto, dunque, si può tranquillamente affermare che i termini du Lac e del Acqs siano sinonimi, allo stesso modo in cui sembrano esserlo le tradizioni storiche del Drago e del Graal.
La sovrapposizione di queste storie risulta particolarmente significativa ed importante nella vicenda del sangue e dell’acqua che sgorgò dal costato di Gesù crocefisso (Giovanni 19:34), emblematico fatto che testimonia come egli fosse per davvero un rampollo della dinastia reale dei “Risplendenti”.
Casati Du Lac e Del Acqs
Le sacerdotesse erroneamente definite “prostitute sacre”, la figura che i Greci chiamavano hierodulai (donna sacra).
Nella tradizione del Graal, le donne – quelle del casato du Lac (ossia del sangue di drago) come, parimenti, quelle del Acqs (ossia delle acque) – erano legate ad una ritualistica mensile che in passato veniva svolta nei templi dedicati alla Dea Madre. Si trattava di rituali sacri collegati al sangue mestruale e all’acqua, svolti in onore delle antichissime Signore della Fonte, rappresentate in modo genericamente romantico nelle figure di Nimuë e Melusina.
Queste cerimonie, ricche e fiere delle loro origini pagane, furono osteggiate con grande accanimento dalla Chiesa e dalla dottrina cristiana, che le definiva sataniche e vampiresche, alla stregua dell’eresia graaliana più in generale. Per la Albi-gens, invece, queste storie occupavano il cuore, il fulcro della tradizione cortese amorosa, quella così finemente cantata dai trovatori.
In tale contesto, dunque, questa ritualistica, ancora viva tra i Catari, era rimasta l’unica a conservare ancora il segreto divino delle sacerdotesse del Fuoco Stellare, le sacerdotesse erroneamente definite “prostitute sacre”, la figura che i Greci chiamavano hierodulai (donna sacra), la cui prestigiosa eredità storica i vescovi della Chiesa di Roma (a cui poi tra l’altro questo appellativo venne applicato), pensarono bene di rovesciare del tutto, denigrandole come meretrici.
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