Gli Esseni

Chiamati anche nazareni – Nazareth era un loro presidio molto importante – è il popolo da cui discende Gesù Cristo e che si presume vivesse vicino a Masada. Gli Esseni erano contadini, frutticoltori e profondi conoscitori delle proprietà delle erbe, dei cristalli e del colore con i quali curavano tutti coloro che richiedevano il loro aiuto.

Detenevano quindi un’antica conoscenza (forse tramandata da Atlantide) portata in Palestina da Mosè e dal suo popolo (gli esseni) e divulgata successivamente in Europa dagli Egizi. Medici e guaritori, con leggi e tradizioni ortodosse, imponevano a chi desiderava entrare nella loro comunità delle iniziazioni che duravano fino a sette anni.

La loro era una stirpe reale, proveniente da una razza e cultura diversa da quella dei rabbini e farisei del Tempio di Gerusalemme. Convinti vegetariani, il cibo degli Esseni non poteva essere alterato (con la cottura ad esempio); non facevano sacrifici a Dio e dedicavano molto del proprio tempo a ringraziarlo, attraverso le preghiere che rivolgevano anche agli Angeli, a cui erano particolarmente devoti.

Si dice che si alzassero all’alba e andassero nei boschi a chiamare le energie angeliche, con le quali si intrattenevano in modo molto naturale. Abbandonate le vanità del mondo, si erano ritirati ad una vita semplice che consentiva di avvicinarsi allo spirito per viverlo nella materia come successivamente Gesù il Cristo (cristhos = “sapere“) ci ha ampiamente raccomandato.

Avevano usanze e osservanze come la proprietà collettiva, eleggevano un capo che attendesse agli interessi di tutti e i cui ordini venivano obbediti, era loro vietato prestare giuramento, controllavano la loro collera e fungevano da canali di pace, portavano armi solo per protezione contro i rapinatori, non avevano schiavi ma si servivano a vicenda e, come conseguenza della proprietà comune, non erano dediti ai commerci.

Dopo un totale di tre anni si entrava a far parte del gruppo con un pasto comune, i membri appena unitisi prestavano un giuramento solenne davanti alla comunità che comprendeva l’impegno a praticare la pietà verso la divinità e l’aderenza a principi morali verso l’umanità, per mantenere uno stile di vita puro, di astenersi da attività criminose e immorali, di trasmettere intatte le loro leggi e di preservare il libro degli Esseni e il nome degli Angeli, con questo atto i neofiti assumevano l’impegno di essere totalmente leali e di non rivelare nulla ai profani, neppure se torturati a morte. Gli iniziati dovevano tacere soprattutto sulle dottrine esoteriche dei libri antichi e sui nomi degli angeli, oggetto di speculazione mistico-teologica.

L’ammissione era peraltro selettiva. La struttura del gruppo esseno era gerarchica e comprendeva i gradi di postulante, di novizio e di iniziato. Sotto il profilo dottrinale gli Esseni sostenevano l’immortalità dell’anima e professavano un’escatologia di retribuzione per buoni e malvagi. Ammettevano pure la resurrezione, il giudizio finale e la fine del mondo. Tra loro, dice Giuseppe Flavio, vi furono veggenti e profeti.

Si dice che il loro nome abbia una radice ebraica hasidim (“Pii”); altri sostengono che esseni derivi dall’aramaico asya (“medico”). Ciò che di “ufficiale” si sa di loro ci viene tramandato dagli scritti di Plinio il Vecchio, Flavio Giuseppe, Filone Alessandrino e dai Rotoli di Qumran ritrovati intorno al 1947, in una zona desertica a 30 km da Gerusalemme, vicino al mar Morto grazie a una scoperta fortuita da parte di un pastorello di nome Mohammed Adh Dhib (giare contenenti dei rotoli di pelle avvolti in brandelli di tela).

Il materiale in larga parte venne rivenduto a un trafficante di nome Kando che a sua volta lo rivendette al governo israeliano. Negli anni seguenti sono stati rinvenuti, in undici grotte della zona, circa 900 rotoli, alcuni ridotti in frammenti altri in discreta condizione di integrità. Ben 200 di essi riguardavano libri o parti di libri dell’antico Testamento. In particolare l’intero rotolo di Isaia, oggi conservato nel Museo detto Scrigno del Libro a Gerusalemme.

Vennero ritrovati anche i rotoli con le regole della comunità e tanti altri che permisero di far luce sulla misteriosa comunità essena. Un team di studiosi internazionale presieduto da padre De Vaux, un domenicano residente in Giordania, ma costituito da studiosi anche acattolici ed ebrei cominciò a studiare i reperti sin dalla metà degli anni Cinquanta. Lo studio, non sappiamo se volutamente o meno, è stato piuttosto lungo e laborioso.

La spiritualità Essena

Molti dei loro insegnanti spirituali sono presenti in numerose religioni. In particolare, l’aspetto esoterico dell’insegnamento esseno era rappresentato dall’albero della vita e dalle comunioni essene con gli angeli di cui troviamo traccia nel libro Il Vangelo Esseno della Pace dove gli angeli vengono chiamati energie elettromagnetiche della luce, dell’aria, della terra, dell’acqua e del sé.

L’esperienza essena si ritrova nello Zend Avesta di Zarathustra, negli insegnamenti dei Veda e nel buddismo, dove il “sacro albero dell’illuminazione” non è altro che l’albero della vita. In Occidente contribuirono alla ricerca spirituale dello gnosticismo, della Cabala e del Cristianesimo.

Uno tra i principali argomenti di studio della comunità essena riguardava il tema della resurrezione del corpo che trovava il suo fondamento nella convinzione che ci sarebbe stato un tempo in cui il corpo sarebbe risorto a nuova vita; un tempo in cui l’uomo avrebbe sconfitto la morte e i “figli della luce” (come gli esseni si definivano) avrebbero vissuto nella Luce.

Il pensiero esseno sosteneva anche che l’essere umano, in accordo con il proprio Dio interiore, custodisce un “progetto dell’anima” e che, aiutato dai propri angeli custodi, dalle guide e dai maestri, arriva sulla Terra per imparare ciò che si è prefisso, acquisendo integrità ed esperienza per crescere nella consapevolezza di essere di luce.

L’uomo ha quindi il suo destino di predestinazione e poco può fare per cambiarlo; può agevolarlo o ritardarlo, ma è solo una questione di tempo. Concetti quali “la vita dell’anima” e “la coscienza dopo la morte fisica” erano ampiamente insegnati nelle loro scuole di saggezza e nello studio dei simboli come l’albero della vita.

Per meglio conoscere la grande esperienza spirituale tramandata dagli esseni, occorre risalire al tempo del faraone egizio Amhenotep IV o Akhenaton della XVIII dinastia, che impose il culto monoteistico del disco solare Aton. Venuto sulla Terra con il preciso compito di divulgare alcune conoscenze sull’unico dio Aton, Akenathon si dedicò alla preparazione di un popolo che successivamente avrebbe per primo prodotto un cambiamento nella coscienza, iscritto nel DNA delle generazioni successive e che si sarebbe risvegliato a tempo debito. Il popolo in questione erano gli esseni, portati successivamente in Palestina da Mosè, che alcuni sostengono essere stato Akenaton stesso.

L’eredità degli Esseni

Un bellissimo colloquio fra Carlos Castaneda e Don Juan suo maestro dice: “Un improvviso colpo di vento mi colpì, facendomi bruciare gli occhi.” Guardai il punto in questione e vidi che tutto era normale. “Non riesco a vedere niente” dissi. “L’hai appena sentito” – rispose lui – “Cosa? Il vento?”. “Non solo il vento”, disse lui, “Ti può sembrare il vento, perché il vento è la sola cosa che conosci”.

Riflettete: che cosa sta succedendo? Quante sono le cose che non conosciamo? Le nostre convinzioni tradizionali e i nostri condizionamenti possono lasciar spazio a nuovi modi di essere e di pensare, ad emozioni capaci di risvegliare in noi quelle parti addormentate da molto tempo. Gli Esseni ci hanno tramandato dei metodi per comprendere questo processo di trasformazione, una testimonianza della loro capacità psicologico-introspettiva: la loro cosiddetta “teoria dei sette specchi”.

Sette misteri corrispondenti ai diversi tipi di rapporti umani che ciascun individuo sperimenta, consapevolmente o inconsapevolmente nel corso della sua vita di relazione.

La definizione di “specchi” nasce da un principio fondamentale secondo il quale le azioni, le scelte, le esperienze e il linguaggio di coloro che ci circondano riflettono in ogni momento della nostra vita la nostra realtà interiore.
Ciò che è fuori di te è il corrispondente visibile di ciò che c’è dentro di te.

Conseguenza di tale assunto è che riconoscendo la nostra realtà interiore e trasformandola, riusciamo a trasformare la nostra realtà esteriore.

Passiamo, ora, all’analisi dei singoli specchi.

Il 1° Specchio è rappresentato dalla nostra presenza nel momento presente.
La persona o le persone che ci circondano in una determinata circostanza ci indicano (ci fanno da specchio) su come stiamo vivendo interiormente in quel dato momento.

Lo stato d’animo e/o il comportamento di chi ti sta accanto riflette ciò che inconsapevolmente stai vivendo dentro di te e che invii all’esterno anche senza saperlo.

Quando ci troviamo circondati da individui e modelli di rapporto di comportamento in cui domina l’aspetto della rabbia o della paura, ad esempio, lo specchio ti mostra che dentro di te c’è rabbia o paura.
Fortunatamente vale anche con gli stati d’animo positivi.
Una persona che al tuo fianco manifesta gioia, estasi e felicità è l’immagine di quello che tstai vivendo dentro di te nel presente.

Chi ci è vicino ci rimanda ciò che è dentro di noi.
L’utilità dello specchio in generale risiede nella possibilità che ci sta offrendo la persona con cui interagiamo in un determinato momento di riconoscere i nostri pensieri, i nostri stati d’animo e quant’altro viviamo ed avere la possibilità di ripulirci interiormente da tutto ciò che ci porta in una condizione di basse vibrazioni (diciamo, negative).

Solo se riconosciamo ciò che sentiamo abbiamo eventualmente la possibilità di cambiarlo.
La consapevolezza di tale specchio sottolinea automaticamente l’inutilità quanto l’infondatezza del giudizio verso chi ci sta accanto.
Anzi, chi ci circonda sta “sopportando” il peso di indicarci ciò che è dentro di noi.

Il 2° Specchio è simile al primo specchio ma ha una sua particolarità: ti rimanda ciò che stai giudicando nel momento.
Ad esempio sei circondato da una persona la cui condotta ti provoca frustrazione o rabbia, se percepisci che quel modello comportamentale non è tuo in quel momento (1° specchio), allora con buona probabilità ti sta mostrando ciò che giudichi (2° specchio, appunto).

In questo caso stai giudicando ciò che ti frustra o che ti provoca rabbia.
Spesso il primo specchio rappresenta esattamente ciò che sta succedendo in te.
E se in una data circostanza non si tratta del primo specchio, prova con il secondo
Se abbiamo la pazienza di comprendere cosa viviamo esternamente per capire cosa abbiamo dentro, le sorprese saranno infinite.

Prova.
“Se è vero che gli specchi funzionano, cosa mi stanno dicendo in questo momento? Quale aspetto di me stanno riflettendo queste persone che non sopporto?”
• Analizza cosa rappresenta per te una persona, un rapporto.
• Analizza molte possibilità, non limitarti alla prima risposta.
• Anzi, per esperienza, la prima risposta non è mai quella giusta.
• Siamo troppo pieni di maschere interiori.

Ti mostra ciò che giudichi in un determinato momento.
Molto spesso abbiamo così intense cariche emotive su determinate convinzioni o idee che non siamo disposti a permettere che esiste qualcosa in contrasto con la nostra convinzione o idea.
Quando hai una carica emotiva su qualcosa, che cosa ti accade?
Che presto o tardi la incontrerai nella tua vita.
Il giudizio è frutto della nostra ignoranza sugli altri o su noi stessi.
Raggiungere la propria pace interiore passa attraverso la comprensione di ogni parte di sé.
Soprattutto quelle che noi superficialmente giudichiamo più negative.
Spesso, però, confondiamo il non giudicare con l’approvare.
Invece posso non approvare un comportamento senza necessariamente giudicarlo.

Quando ho riconosciuto il modello del giudizio nella mia vita, e mi sono reso conto che ciascuna di quelle persone che giudicavo era un maestro nel rispecchiarmi le cose che giudicavo in me stesso, ogni altro rapporto che esisteva in virtù del giudizio critico, è iniziato a scomparire dalla mia vita.

Se vivi un certo modello in un area della tua vita, esso sbuca anche altrove e una volta che viene guarito ed appianato, anche in una sola aerea, guarisce dappertutto.

La nostra natura è oleografica e la luce della nostra consapevolezza illumina diversi piani contemporaneamente.
Il secondo specchio del giudizio critico, ti mostra quali sono le tue più grosse cariche emotive.
Prova, abbi fede del tuo diretto discernimento
Ti invito a passare in rassegna la tua vita, e soprattutto le persone che ti sono più care, perché sono quelle da cui hai più da imparare su te stesso.

Osservali ed osservati, poi chiediti: “Mi stanno mostrando me stesso nel momento presente?” Se la risposta onesta è “No” allora domandati: “Mi stanno mostrando ciò che io giudico nel momento?”
La risposta, non la prima mi raccomando, potrebbe lasciarti senza parole.

Il 3° Specchio è uno degli specchi più facili da riconoscere, perché è percepibile ogni volta che ci troviamo alla presenza di un’altra persona, quando la guardiamo negli occhi e, in quel momento, sentiamo che accade qualcosa di magico. Alla presenza di questa persona, che forse non conosciamo nemmeno, sentiamo come una scossa elettrica, la pelle d’oca sulla nuca o sulle braccia.

Che cosa è successo in quell’attimo? Attraverso la saggezza del terzo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che, nella nostra innocenza, rinunciamo a delle grosse parti di noi stessi per poter sopravvivere alle esperienze della vita.

Queste “parti di noi” possono venir perse più o meno consapevolmente, o portate via da coloro che esercitano un potere su di noi. Se vi trovate in presenza di qualcuno e, per qualche motivo inspiegabile, sentite l’esigenza di passare del tempo con lui, ponetevi una domanda: che cos’ha questa persona che io ho perduto, ho ceduto, o mi è stato portato via? La risposta potrebbe sorprendervi molto, perché in realtà riconoscerete questa “sensazione di familiarità” quasi verso chiunque incontriate. Vedrete cioè delle parti di voi stessi in molti. Questo è il terzo mistero dei rapporti umani.

Il 4° Specchio si presenta quando nella vita abbiamo inconsapevolmente scelto di adottare un modello di comportamento in grado di far sì che siamo automaticamente costretti a rinunciare ai rapporti umani che per noi sono più cari.
Di solito ciò si verifica in modo graduale, quindi in questo caso può non esserci la necessità di arrivare fino in fondo prima di accorgerci di quello che ci sta accadendo.

Per una serie di motivi che possono variare da persona a persona, spesso capita di ritrovarci dipendenti da una data situazione, che ci spinge ad allontanarci sempre di più dalle persone che amiamo, compresi noi stessi.
Si può trattare di una dipendenza dalle sostanze come alcol o droghe, oppure di una dipendenza dal lavoro, o dal generare denaro, insomma tutti quei comportamenti compulsivi che si impadroniscono della nostra esistenza senza che ce ne rendiamo conto.

Ad esempio, cosa può essere accaduto nella nostra vita, che ci ha spinto a dedicare tutto il nostro tempo al lavoro, non lasciando più alcuno spazio per i sentimenti di amore e complicità verso le persone che amiamo? Perché abbiamo scelto di vivere una vita che è sì piena ma allo stesso tempo vuota, perché manca quell’elemento fondamentale che è la reale gioia di un rapporto?

Molto probabilmente le situazioni che si sono verificate durante il corso della nostra esistenza ci hanno portato a credere che, eliminando quelle parti di noi che ci permettono di interagire a livello profondo con le persone che ci circondano, avremmo potuto vivere una vita serena ma evitando di esporci alla sofferenza.
Qualsiasi cosa possa essere accaduta in passato, ci ha convinti che sia di gran lunga meglio rinunciare alle cose che amiamo di più, piuttosto che rischiare di soffrire.

Ecco perché i comportamenti compulsivi possono essere evidenti (dipendenze da droghe) ma anche molto sottili, come nel caso di una dipendenza dal proprio lavoro, o dalla mania di accumulare denaro, o ancora da qualsiasi altra cosa che tenda a diventare il centro della nostra esistenza senza lasciare spazio ad altro.

Abbiamo veramente bisogno di arrivare fino a toccare il fondo, prima di accorgerci di ciò che ci sta accadendo? Nel momento in cui diventiamo consapevoli di ciò che si sta verificando nella nostra vita, abbiamo la possibilità di scegliere di interrompere la catena e di tornare ad accettare ciò che realmente amiamo, reintegrandolo nella nostra esistenza, perché ci saremo anche resi conto chequando si evita di voler soffrire in realtà si soffre molto di più.

Il 5° Specchio è forse il più potente in assoluto, perché ci permette di vedere meglio, e con maggiore profondità degli altri, la ragione per cui abbiamo vissuto la nostra vita in un dato modo. Esso rappresenta lo specchio che ci mostra i nostri genitori e l’interazione che intratteniamo con loro. Attraverso esso ci viene chiesto di ammettere la possibilità che le azioni dei nostri genitori verso di noi riflettano le credenze e le aspettative che nutriamo nei confronti del rapporto più sacro che ci sia dato di conoscere sulla Terra: il rapporto che intercorre fra noi, la nostra Madre/Padre Celeste, vale a dire con l’aspetto maschile e femminile del nostro Creatore, in qualunque modo lo concepiamo.

La relazione con i nostri genitori può quindi svelarci il nostro rapporto con il divino. Per esempio, se ci sentiamo continuamente giudicati o se viviamo in una condizione per cui “non è mai abbastanza”, è altamente probabile che il rapporto con i nostri genitori rifletta la seguente verità: siamo noi che, grazie alla percezione che abbiamo della nostra persona e del Creatore, crediamo di non essere all’altezza e che forse non abbiamo realizzato quello che da noi ci si aspettava.

Il 6° Specchio ha un nome abbastanza infausto; gli antichi lo chiamarono infatti l’oscura notte dell’anima. Ma attenzione, lo specchio in sé non è necessariamente sinistro come il nome che porta. Attraverso esso ci viene infatti ricordato che la vita e la natura tendono verso l’equilibrio e che ci vuole un essere magistrale per bilanciare quell’equilibrio. Nel momento in cui affrontiamo le più grandi sfide della vita, possiamo star certi che esse divengono possibili solo dopo aver accumulato gli strumenti necessari per superarle con grazia e facilità; perché è quello il solo modo per superarle. Fino a che non abbiamo fatto nostri quegli strumenti, non ci troveremo mai nelle situazioni che ci richiedono di dimostrare determinati livelli di abilità.

Quindi, da questa prospettiva, le sfide più alte della vita, quelle che ci vengono imposte dai rapporti umani e forse dalla nostra stessa sopravvivenza, possono essere concepite come delle grandi opportunità, che ci consentono di saggiare la nostra abilità, anziché come dei test da superare o fallire. E’ proprio attraverso lo specchio della notte oscura dell’anima che vediamo noi stessi nudi, forse per la prima volta, senza l’emozione, il sentimento ed il pensiero, senza tutte le architetture che ci siamo creati intorno per proteggerci.

Attraverso questo specchio possiamo anche provare a noi stessi che il processo vitale è degno di fiducia e che tale fiducia può essere accordata anche a noi, mentre stiamo vivendo la vita. La notte oscura dell’anima rappresenta l’opportunità di perdere tutto ciò che ci è sempre stato caro nella vita: confrontandoci con la nudità di quel niente, mentre ci arrampichiamo fuori dall’abisso di ciò che abbiamo perso e percepiamo noi stessi in una nuova luce, possiamo però esprimere i nostri più alti livelli di maestria.

Il 7° Specchio dalla prospettiva degli antichi era il più sottile e, per alcuni versi, anche il più difficile. E’ quello che ci chiede di ammettere la possibilità che ciascuna esperienza di vita, a prescindere dai suoi risultati, è di per sé perfetta e naturale. A parte il fatto che si riesca o meno a raggiungere gli alti traguardi che sono stati stabiliti per noi da altri, siamo invitati a guardare i nostri successi nella vita senza paragonarli a niente.

Senza usare riferimenti esterni di nessun genere. Il solo modo in cui riusciamo a vederci sotto la luce del successo o del fallimento è quando misuriamo i nostri risultati facendo uso di un metro esterno. Ma a quel punto sorge la seguente domanda: “A quale modello ci stiamo rifacendo per misurare i nostri risultati? Quale metro usiamo?” Nella prospettiva di questo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che ogni aspetto della nostra vita personale – qualsiasi aspetto – sia perfetto così com’è.

Dalla forma e peso del nostro corpo, ai risultati personali in ambito accademico, aziendale o sportivo. Ci renderemo conto insieme che, in effetti, questo è vero e che un risultato può essere sottoposto a giudizio solo quando viene paragonato ad unriferimento esterno. Il settimo specchio ci invita quindi a permetterci di essere il solo punto di riferimento per i risultati che raggiungiamo.

Fonte: quantoequantaltro.blogspot.it; Trascrizione del videoseminario Camminare fra i mondi di Gregg Braden.


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Con mente Chiara e Luminosa affronta audace il tuo Destino, senza indugio percorri la Via che conduce alla Conoscenza. Con Cuore Puro e Volontà di ferro, niente e nessuno ti può fermare. Per te ogni cosa diventa possibile.

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