Roma è la città che conserva il più alto numero di obelischi antichi al mondo: se ne contano 13, disseminati in vari parti dell’Urbe. Circa la metà di essi proviene dall’Egitto, mentre un’altra parte è rappresentata da un’abile serie di copie degli esempi egizi, costruiti direttamente a Roma.
In epoca imperiale probabilmente le guglie erano molto più numerose di adesso, anche se il numero esatto è rimasto ignoto. Di alcuni obelischi andati perduti, rimangono importanti tracce, come di quello che sorgeva al centro dell’isola Tiberina, crollato nel XIV secolo e di cui sopravvivono tre frammenti, conservati nei musei di Napoli e di Monaco di Baviera.
Gli obelischi sono monumenti molto particolari, perché furono ricavati da un unico blocco di pietra (monolite) di colore variabile, con più frequenza di granito rosso. Il fusto è in linea generale un prisma regolare con la base quadrata che va restringendosi leggermente verso la sommità, dove di solito termina con un elemento di forma piramidale, denominato “pyramidion”.
Il più antico obelisco della capitale risale al XV secolo a.C. e sorge a piazza San Giovanni in Laterano, nel largo settore tra il transetto della basilica di San Giovanni ed il Palazzo del Laterano. Il suo aspetto è davvero imponente e particolare: un blocco di granito rosso che misura ben 32,18 metri, costituendo il più alto obelisco al mondo.
Se si conta anche la base su cui è poggiato, l’obelisco del Laterano raggiunge l’impressionante altezza di 45,70 metri, per un peso di circa 230 tonnellate. Si tratta di un monumento dell’antico Egitto, originariamente collocato davanti al Tempio di Amon a Tebe (Karnak, in linguaggio locale) e fatto edificare per volontà del figlio del faraone Tutmosi III, in onore appunto di suo padre.
All’inizio del IV sec. d.C., Costantino il Grande fece trasferire il monumento ad Alessandria d’Egitto, divenuta fin dall’età ellenistica, una delle città più cosmopolite del Mediterraneo. L’intento dell’imperatore era quello di trasferire il grandioso blocco a Costantinopoli, a cui aveva attribuito la dignità di capitale del grandioso Impero Romano.
Costantino, tuttavia, morì qualche anno prima di realizzare il suo progetto e suo figlio Costante II decise di trasferire l’obelisco a Roma, allo scopo di abbellire il Circo Massimo, mediante una nave speciale costruita appositamente per il trasporto dell’obelisco. Arrivata nella città eterna, la guglia fu dotata del tradizionale globo bronzeo, com’era consuetudine fin dagli albori della civiltà romana.
Alcuni anni dopo, la sfera fu colpita da un fulmine, come se si trattasse di un segno celeste, e la sfera fu sostituita con un puntale a forma di fiamma, di bronzo lucente, con lo stupefacente effetto ottico di simulare l’illusione del fuoco, quando vi si riflettevano i raggi del sole. Di tale elemento vi sono soltanto narrazioni quasi leggendarie, in quanto non fu mai rinvenuto.
Si pensa che, dopo il crollo dell’obelisco, avvenuto durante le invasioni barbariche, il metallo sia stato fuso e riciclato per altre opere. Nel Medioevo il monumento giaceva diviso in tre grossi blocchi sotto le macerie nell’arena del Circo Massimo, ormai abbandonata e diventata quasi una palude, per il progressivo riaffiorare di un corso d’acqua sottostante.
Il primo che si interessò ai grossi blocchi dell’obelisco, verso la metà del quindicesimo secolo, fu lo scienziato e letterato Leon Battista Alberti, anche se non fu intrapresa alcuna azione per il suo ripristino. Alla fine del Cinquecento l’archeologo, medico e geologo Michele Mercati fece pressioni su papa Sisto V, affinché concedessi i finanziamenti per i lavori di recupero del monumento nell’area paludosa.
Dopo la difficile azione di recupero, l’obelisco fu collocato nella posizione attuale, al posto della celebre statua di bronzo di Marco Aurelio, esposta poi nella piazza del Campidoglio. Sulla sommità dell’imponente guglia fu posto il simbolo araldico della famiglia del pontefice: una stella ad otto punte e tre monti. Tra il XVIII ed il XIX secolo, sui quattro lati, fu posizionato un leone con la zampa alzata, soprattutto allo scopo di contribuire alla stabilità strutturale dell’obelisco.
Di grande suggestione sono le iscrizioni sulle quattro facce della base che narrano, in maniera molto sintetica, l’intera storia dell’obelisco: la dedica al Dio Sole, ritenuta sacrilega in ambiente cristiano; il trasferimento ad Alessandria su ordine di Costantino; il trasporto a Roma voluto da suo figlio Costante II. In particolare, è necessario segnalare come la quarta faccia della base raffiguri un’ingenuità storica, riportando il presunto battesimo di Costantino da parte di papa Silvestro I.
Ciò è dovuto ad una serie di leggende medioevali, in quanto l’imperatore rimase pagano fino al momento della morte, permettendo il culto cristiano solo per motivazioni di opportunità politica. Sisto V intitolò l’obelisco alla “Crux invictissima”, seguendo un’altra leggenda, secondo la quale Elena, la madre di Costantino, avrebbe portato dalla Terra Santa alcuni frammenti del sacro legno di Cristo. Non lontano dal Laterano, vi è proprio una basilica dedicata a Sant’Elena.
Non manca una sobria iscrizione che commemora Domenico Fontana, colui che nel 1588, con molto ingegno, diresse i lavori di completamento per innalzare l’obelisco nell’attuale posizione.
Il secondo più antico obelisco della città eterna è quello che svetta in piazza del Popolo, denominato “obelisco Flaminio” dalla prossimità dell’antica “via Flaminia”. Tale monumento è alto ben 24 metri e, comprendendo la base, raggiunge i 34 metri.
Gli storici datano l’obelisco flaminio intorno al XIII sec. a C., individuando la sua posizione originaria nella città sacra di Eliopoli. Le ricostruzioni più accreditate delineano la sua realizzazione sotto il regno del faraone Seti I, anche se il completamento dell’opera sarebbe avvenuto per volontà di suo figlio Ramsete II, di cui è possibile ammirare il cartiglio inciso numerose volte sulla guglia, insieme a quello di Mernepath, a sua volta suo figlio.
L’obelisco sorgeva davanti al Tempio del Sole ed era dedicato al dio Ra, raffigurato in fondo all’obelisco, mentre riceve offerte. Sebbene non sia il più antico obelisco di Roma, fu con ragionevole certezza il primo ad arrivare nell’Urbe. Nel 10 d.C., il primo imperatore romano, Ottaviano Augusto, lo fece trasportare a Roma anch’esso allo scopo di decorare il Circo Massimo.
La base della guglia egizia è ancora quella originaria romana, anche se qualche parte mancante fu aggiunta nel corso di alcuni lavori di restauro che si svolsero nella seconda metà del sedicesimo secolo. Il monumento vuole celebrare la grandezza di Augusto, tanto è vero che, sui due lati opposti dell’obelisco, si intravede ancora l’antica iscrizione latina, ormai molto sbiadita, che in italiano può essere così tradotta:
“Ottaviano Augusto, divino figlio di Cesare, che, avendo ridotto l’Egitto in possesso del popolo romano, dedicò (il monumento) al Sole”.
Anche l’obelisco flaminio fu fatto recuperare dalla palude del Circo Massimo per volontà di Sisto V che, sui due lati ancora privi di testo, fece aggiungere due iscrizioni commemorative: l’una per sottolineare l’opera dello stesso pontefice che aveva attribuito dignità cristiana ad un simbolo del culto pagano; l’altra, che guarda verso la chiesa di Santa Maria del popolo, è quasi un gioco di parole che si riferisce al parto verginale di Maria, capace di dare al mondo il “sole di giustizia” ai tempi di Augusto.
nel 1589 l’obelisco fu trasferito nella posizione attuale, accanto ad una fontana ottagonale già ivi collocata da alcuni anni. La cima dell’obelisco flaminio è formata con i simboli araldici del papa, in particolare la stella ed i monti. È curioso sottolineare che, quando l’architetto Valadier nel 1823 fu incaricato di ristrutturare la piazza, restituì all’obelisco la sua origine pagana, così vituperata da Sisto V, sistemando alla base del monumento un’ampia predella, ai cui quattro angoli collocò quattro leoni egizi che emettono getti d’acqua.
È inutile ribadire che Piazza del popolo è uno dei luoghi più fotografati della capitale.
In Piazza San Pietro, sorge il cosiddetto “obelisco vaticano”, di origine egizia ma privo di incisioni geroglifiche che nell’antichità era diventato uno dei più importanti simboli di Roma. L’altezza della guglia raggiunge i 25,5 metri, anche se la base, unitamente allo stemma bronzeo collocato sulla sommità, aggiunge ulteriori 12 metri, rendendo l’insieme decisamente più imponente.
Anche tale obelisco si trovava ad Heliopolis e fu fatto trasportare nel I secolo da Augusto ad Alessandria per celebrare la memoria di Giulio Cesare, suo padre putativo. Alcuni anni dopo, Caligola ordinò che la guglia fosse trasferita a Roma, affinché fosse utilizzata come decorazione dello stadio in corso di costruzione presso il colle Vaticano.
La struttura prese il nome di “Circo di Gaio e di Nerone” (il nome reale di Caligola e dell’imperatore che completò l’opera). La particolarità dell’obelisco vaticano è che fu l’unica guglia a rimanere in piedi, dopo la caduta dell’Impero Romano d’occidente. Secondo una leggenda cristiana, ciò avvenne perché sorgeva in prossimità della tomba di San Pietro, da cui avrebbe ricevuto protezione.
Durante l’età medioevale, l’obelisco vaticano era conosciuto con il nome di “agulia”, diventando uno dei punti di riferimento della città eterna, in quanto si era diffusa la credenza popolare che la sfera bronzea posta sulla cima, contenesse le ceneri di Cesare. Alla fine del sedicesimo secolo, Domenico Fontana, l’architetto di fiducia di Sisto V, utilizzando una consistente impalcatura di legno, funi e carrucole, realizzò l’ambizioso progetto di trasferire il monumento nell’attuale posizione davanti alla basilica.
Il papa celebrò una solenne cerimonia di esorcismo, allo scopo di scacciare qualsiasi “influenza maligna”, dovuta alle origini pagane del monumento. Le parole del rituale volute dal pontefice sono incise sui lati, orientale ed occidentale, della base del monumento, in pratica quelli che si vedono all’entrata e all’uscita della basilica.
Nel 1817 alla guglia fu aggiunta la funzione di meridiana, con l’inserimento di una sottile fascia di granito che indica i punti dove, nei diversi periodi dell’anno, a mezzogiorno in punto, la croce posta sulla cima proietta la propria ombra. Alcuni dischi segnano i punti che vengono raggiunti nei giorni degli equinozi e dei solstizi. Sulla sommità della guglia, è possibile notare una croce poggiante su una stella e tre piccoli monti, imprese dello stemma di famiglia di Sisto V, così come le quattro copie di leoni di bronzo posti alla sua base.
Un altro importante obelisco è quello solare, situato attualmente nella piazza di Montecitorio, davanti al palazzo omonimo, sede della Camera dei Deputati. Anche questa guglia proviene dalla mitica Eliopoli, risalente al VII secolo a.C.. Sembra che i suoi geroglifici si riferiscano al faraone Psammetico II, che fece innalzare il monumento in onore del Sole, il dio Ra. Anche questo monumento fu fatto trasportare a Roma dall’imperatore Ottaviano Augusto e fu collocato nell’area pianeggiante tra il Tevere e le antiche mura serviane.
Questo obelisco è chiamato “solare”, perché Augusto, per ricordare l’originaria destinazione egizia, lo trasformò nello gnomone di un’enorme meridiana denominata “Horologium Augusti”, con la sua ombra che cadeva su una vasta piattaforma di travertino in funzione di quadrante, il cui lato maggiore misurava circa 160 metri ed era attraversata da linee e tacche di bronzo che segnavano le ore ed i giorni. Si pensa che la guglia sia crollata nell’XI secolo e collocata nell’attuale posizione soltanto nel 1792, quando il palazzo di Montecitorio era adibito a tribunale dello Stato pontificio.
L’obelisco misura circa 22 metri che diventano 33,27, contando anche la base ed il globo. Nel 1998 è stata collocata nella piazza, con scopi puramente decorativi, una nuova linea con tacche di bronzo. Una particolare menzione meritano altri due obelischi senza geroglifici, quasi identici fra loro, che si trovano in cima all’Esquilino ed al Quirinale. Un tempo queste due guglie presidiavano l’ingresso del Mausoleo dell’imperatore Ottaviano in Campo Marzio.
I due obelischi in apparenza sono perfettamente uguali, ma dalla misurazione effettiva è emerso che quello dell’Esquilino raggiunge i 14,75 metri, mentre quello sul Quirinale è più basso di 11 cm. Se si considerano anche le rispettive basi, il primo misura 25,53 metri ed il secondo 28,94. Una caratteristica peculiare di questi due obelischi è il fatto che non terminino con un “pyramidion” alla sommità, come la maggior parte delle costruzioni dello stesso tipo, ma poggiano in maniera diretta sulla parte più alta del fusto
E la rassegna non finisce qui. Non si può dimenticare l’obelisco “agonale”, collocato in Piazza Navona, che forma un unico complesso marmoreo con la Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini, con un’altezza di 14,63 metri. Esso fu fatto realizzare dall’imperatore Domiziano sull’esempio dei modelli egizi e, dopo varie collocazioni, fu recuperato per volontà di papa Innocenzo X e situato nella posizione attuale.
L’obelisco “sallustiano”, chiamato così perché decorava gli “Horti Sallustiani”, attualmente eretto davanti alla chiesa di Trinità dei Monti, in cima alla celebre scalinata che sale da Piazza di Spagna, raggiunge l’altezza più modesta di 13,91 metri. Ed ancora annoveriamo l’obelisco della Minerva, quello del Pantheon, la guglia di Villa Celimontana, la colonna del Pincio e quella di Dogali, dapprima posizionato davanti alla Stazione Termini e poi spostato nei giardini presso Via delle Torme di Diocleziano, per commemorare i caduti della battaglia di Dogali in Eritrea.
Articolo di Luigi Angelino
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