L’espressione riunisce in sé molti termini diversi, che designano altrettanto varie creature, le quali popolano la mitologia, la letteratura, le arti attraverso i secoli: elfi, fate, trolls, folletti, gnomi ed altre creature.
Gli Elfi
Dei primi è dato conto nell’Edda poetica e nell’Edda di Snorri. Degli altri, si parla e si dà conto in fiabe, leggende, poesie, romanzi, opere teatrali, musicali e per balletto, sino ad arrivare a films, fumetti e persino giochi di ruolo.
L’etimo remoto della parola èlfo è nella radice indoeuropea albh- / lbh-, “risplendente, risplendere, essere bianco”.
*Come figura mitologica, gli Elfi compaiono nella concezione cosmologica e religiosa norrena, che li vede come divinità appena inferiori agli Asi e ai Vani, nell’Edda Poetica e nell’Edda in Prosa, simili alle dísir, e responsabili della fertilità dei campi e della longevità dei membri delle famiglie;
in Norvegia, gli Elfi sono ritenuti persino essere gli “antenati mitici” della stirpe reale.
Altresì presenti sono gli Elfi nella superstizione popolare celtica, che li vede divisi in gruppi diversi secondo l’aspetto fisico e le attività, chiamandoli Sídhe, eredi diminuiti dei Tuatha dé Danaan, o Tylwyth Teg of Wales, anch’esse legate agli spiriti dei morti, e prevede molti riti apotropaici contro i loro cattivi influssi, come si evince dalle molte Saghe e Leggende, dal Mabinogion.
Nella tradizione folklorica europea gli Elfi, come i Folletti e le Fate, con i quali sono spesso erroneamente confusi, sono rapitori di neonati, scherzosi e maliziosi torturatori del genere umano, custodi di tesori, permalosi abitatori di boschi e foreste, o anche di fattorie, nelle quali fanno il bello e il cattivo tempo.
A partire dall’VIII secolo d.C., con un’opera come Beowulf, per arrivare al XX secolo, con Kipling, gli Elfi appaiono e riappaiono durante tutta l’evoluzione letteraria europea, assumendo di volta in volta connotazioni positive o negative, aspetto affascinante o repellente, ruolo benigno o malvagio nei confronti dell’uomo.
Nel medioevo si ha in genere una visione degli Elfi come pericolosi esseri appartenenti al Mondo Magico, come in Huon de Bordeaux, forse figli di Caino, come è detto nel Beowulf, forse angeli neutrali, come ipotizza il South English Legendary, forse abitatori dell’Isola di Avalon, come narrato nel Brut di Layamon, sempre pericolosi incantatori, come prevede il Libro degli Incantesimi del Codice di Exeter, e le Elf-Queens delle ballate popolari, del tipo di Tam Lin, Elverskud, Thomas the Rhymer.
Questo fascino resiste fino al Rinascimento, come testimoniano La morte d’Arthur di Malory, Sir Gawain and the Green Knight, o la Fairie Queene di Spenser, quando, con autori come Shakespeare, Drayton e Corbet, si assiste all’inizio del rimpicciolimento delle dimensioni, del potere e, in seguito, anche della dignità degli Elfi, alla miniaturizzazione – come è stata definita da alcuni – degli Elfi, dalla seconda metà del ’400 in poi nominati indifferentemente anche fairies, come accade nella Confessio Amantis di Gower, o nell’Endimion di Lyly.
Nell’età illuministica, poi, gli Elfi vengono ulteriormente ridotti, quasi ridicolizzati, ad esempio nell’opera di Pope The Rape of the Lock, per riapparire di nuovo, in veste di figure drammatiche, spesso pericolose, affascinanti e terribili nella letteratura Romantica, specialmente nella tipologia della Elf-Queen medievale, sia in Keats, che in Shelley, che in Coleridge, ma anche nella figura del Re degli Elfi, come nell’Erl-Konig di Goethe.
Dagli scrittori Vittoriani e Pre-Raffaelliti, invece, gli Elfi vengono caricati di valenze sensuali e circondati da un alone di ambiguità, mistero e morbosità, come accade nelle opere di Tennyson, Swinburne e D.G. Rossetti, o anche MacDonald e Morris.
Nel Novecento, infine, molti diversi autori trattano assai ecletticamente la figura degli Elfi, che vengono a volte quasi trasformati in concetti da associare all’innocenza e alla fantasia, piuttosto che esseri dotati di corpo e di coscienza, mentre quando di essi si dà un ritratto corporeo ed una collocazione storica, si ammantano di rimpianto e nostalgia, come fanno Kipling, de la Mare, Barrie. Nell’opera di J.R.R. Tolkien, in particolare, da The Hobbit a The Lord of the Rings fino ad arrivare a The Silmarillion, la figura degli Elfi diviene centrale; le caratteristiche di maestà, reverenza, insondabile longevità e poteri soprannaturali degli Elfi del mito passano agli Elfi da lui creati. Il loro amore per la musica ed il canto, l’abilità come arcieri, il dominio di sé unito alla bellezza ed alla grazia, ne fanno delle figure apollinee di grande fascino, se non si tiene conto del loro gusto per il riso ed il divertimento. La durata pressoché infinita della vita elfica consente una comprensione dell’ironia del fato, del valore relativo del successo o del fallimento che per gli umani è impensabile.
Il destino letterario successivo di queste figure si può osservare attraverso una panoramica del genere fantasy: gli Elfi subiscono ancora molte variazioni, alcune positive, altre negative, altre ancora imitative o totalmente diverse dai ritratti passati – trascorrendo da un’immagine quasi identica a quella eddica, come nel bellissimo romanzo di Paul Anderson, La spada spezzata, fino agli hackers del cyberspazio di Norman Charrette. Gli Elfi appaiono inoltre nei films, da Darby O’Gill di Robert Stevenson, al film di Ralph Bakshi Il Signore degli Anelli, fino Dark Crystal, di Jim Henson e Frank Oz, e a Willow di Ron Howard, nei fumetti, Elfquest di Wendy e Richard Pini ed Elflord di Barry Blair, e nei giochi di ruolo, da Dungeons & Dragons a Middle Earth, forme artistiche, letterarie e ludiche che si sono diffuse e sono divenute famose negli ultimi decenni del XX secolo. Come nel caso della letteratura del Novecento, la rappresentazione moderna degli Elfi, nei varii autori, si distingue piuttosto per la scarsa conoscibilità, i rari contatti con gli esseri umani e la vaghezza delle descrizioni; una figura caratterizzata dall’indefinitezza, quasi dall’ineffabilità: non si conoscono i nomi propri né degli Elfi nelle Edde né degli Rbhu nei Veda, non si conoscono casi certi di interazioni con i mortali, ma solo possibilità di incontri, di rapimenti, di scambi, di erratiche esplorazioni in paesi dei quali si ignora l’esatta ubicazione, di perdita del senso del tempo quale viene comunemente inteso, di perdita dell’anima immortale, a volte addirittura di perdita della vita stessa.
I Nani
Nell’Edda in Prosa, gli Elfi Oscuri, Svartàlfar, appaiono simili per aspetto e attività alle creature che sono meglio conosciute come Nani. L’abilità nella metallurgia, nella creazione di gioielli anche magici, l’amore inestinguibile per l’oro e le pietre preziose, la ricerca incessante di tesori ed il desiderio di vivere “sotto la terra”, poco interessati alla luce del sole e al contatto con altre creature ne fanno un popolo spesso solitario e difficile da conoscere: nella Voluspa sono il frutto del sangue di Brimir e delle ossa di Blain, nella Ynglinga Saga sono ottimi fabbri, che Grimm descrive nella Mitologia Germanica come esseri non del tutto simili al nano delle fiabe conosciuto in seguito. In seguito alla cristianizzazione delle terre nel nord, la perdita di potere dei nani come divinità minori ne causò un rimpicciolimento fisico che è stato tramandato nel folklore. Rare sono le donne, tra i Nani, e contraddittori i resoconti sul loro aspetto: nella tradizione popolare medievale potevano essere delle seduttrici, come nella ballata svedese “Sir Peder e la figlia del Nano“, mentre altri autori, tra cui Tolkien, le ricordano come molto simili ai loro uomini, addirittura dotate di barba. I Nani si dividono in varie famiglie, a seconda dei luoghi e dei periodi storici. Nella tradizione germanica, i più conosciuti sono i Nani delle Montagne, abitatori di grotte nelle montagne, delle quali sfruttano le miniere ed i giacimenti, estraendo pietre e metalli preziosi, che poi lavorano come fabbri ed orefici. Erano così abili nell’estrazione dei metalli, che era un ottimo auspicio per un minatore umano incontrarne uno sotto terra. Sono di aspetto deforme, di bassa statura e di pelle scura; raggiungono la maturità a tre anni ed a sette hanno già la barba grigia. Esistono poi i Nani della Foresta. I Nani Ctonii sono un incrocio fra Elfi e Nani. Un altro gruppo è quello dei Nani Picchiettanti, anch’essi abitanti in grotte, cave e miniere abbandonate. Persino Nickel, prima di diventare il nome del metallo, era il nome di un gruppo di Nani che viveva e lavorava nelle miniere. I Wichtlein sono invece Nani malvagi e orribili, che scavano continuamente la roccia per distruggere i puntelli e le gallerie dei minatori umani. Nelle miniere di ferro vivono i Nani detti Quiet Volk, simili agli Stille Volk germanici. Nella tradizione italiana esistono i Nani Minatori, detti anche Ometti, molto simili ai Nani delle Montagne, che vivono in Alto Adige, e vengono a volte scambiati per fuochi fatui. Esistono anche i misteriosi Nani del Ghiaccio, detti Eismadil. Sempre nelle valli dell’Alto Adige vivono i Nani del Vino, detti anche Nörgel, simili ai Nani del Ghiaccio. In Polonia, nella zona di Cracovia, nelle miniere di salgemma vivevano esseri simili ai nani, come riporta Julian Majka nella storia Wieliczka. Questi esseri erano gli “spiriti buoni” della miniera, “detti Solilubki”, che proteggevano il salgemma dalle infiltrazioni d’acqua e avvertivano del pericolo imminente i minatori.I Nani popolano molte opere fantasy del XX e XXI secolo, con ruoli attivi e peculiari, a volte come nemesi degli Elfi, dal ciclo della Spada di Shannara di Terry Brooks alla Saga degli elfi di Bernhard Hennen, come anche i giochi di ruolo: D&D , Warhammer, Warcraft ed altri ancora.
Le Fate
Il termine fata si ritiene derivi dal latino tardo fata, neutro plurale di fatum “destino” personificato, nel senso di ‘dea del destino’. Secondo la definizione comune, la fata è una figura femminile della mitologia popolare europea, dotata di poteri magici, generalmente usati a fini buoni; raffigurata come fanciulla o giovane donna bellissima, può assumere, e far assumere ad altri, mutevoli sembianze. Le Fatae erano le tre divinità che spesso presenziavano alla nascita degli uomini illustri e facevano rivelazioni e predizioni sul loro destino futuro – evidente la somiglianza con altre figure mitologiche quali le Moire o Parche e le Norne. Tale concezione continuò nel tempo fino ad influenzare le storie di fate di Perrault e di Madame d’Aulnoy, di Andrew Lang e di Andersen, attraverso le raccolte di leggende di Maria di Francia, fino a Gustave Kahn e Jules Laforgue, Croker e Yeats. Di «commercio con le fate», come appena meno colpevole di quello col Maligno, si parla nel Malleus Maleficarum di Sprenger. Secondo la tradizione celtica le Fairies si dividono in Seelie Court e Unseelie Court, Corte Benedetta e Corte non Benedetta: la prima è composta dall’aristocrazia del mondo magico, generalmente benevola verso i mortali, mentre la seconda è composta di creature malevole e pericolose.
Nella tradizione celtica, il pixie è un essere simile ad una fata, che agisce nelle contee di Cornovaglia, Devon e Somerset. Robert Hunt cita un’antica fonte circa la difesa contro i pixies: rivoltare il proprio cappotto alla rovescia. Quest’uso si diffuse tanto che tutti quelli che uscivano da soli di notte lo praticavano, adducendo come pretesto che una tale sistema preservava l’indumento dall’umidità notturna. Alcuni studiosi del folklore discordano sulla natura dei pixies, ritenendoli piuttosto antichi abitatori delle isole britanniche nemici delle fate, con le quali lottarono finendo per esserne sconfitti. Altri ritengono che i pixies siano gli spiriti dei druidi da tempo scomparsi.
La kelpie è uno dei membri della Unseelie Court, la Corte Non Benedetta. Vive in Scozia nei corsi d’acqua. Nelle Isole Shetland la kelpie d’acqua è conosciuta sotto il nome di Neugle o di De Shoopiltie.
Nel folklore baltico, la lauma è una fata che appare nelle sembianze di una bellissima fanciulla nuda con lunghi capelli biondi, vive nelle foreste vicino all’acqua o alle pietre, rapisce bambini poiché non può avere figli, può sposare un mortale e in tal caso è un’ottima moglie. Famosa per la sua capacità di filatrice e tessitrice, attività condivisa con gli Elfi Chiari dell’Edda, se la lauma fila o tesse il giovedì sera, a nessuna donna mortale è permesso fare altrettanto. Buone se trattate bene, vendicative se offese, le laumas sono in seguito state investite anche del dono della profezia, e più tardi sono state sovrapposte alle streghe. Nel XX secolo la lauma compare nelle Favole del grande poeta Karlis Skalbe, mentre fate di vario tipo popolano le opere del rumeno Nicolae Davidescu, dei francesi Jacques Audiberti e Jean-Richard Bloch, dell’inglese Isabella Valancy Crawford, fino ad arrivare al peruviano Carlos Germán Belli, che ha intitolato il suo libro Oh hada cibernética!. Oberon, re delle fate, presente nel Niebelungenlied, musicato da Wagner, è il soggetto dell’Huon de Bordeaux, dell’Oberon di Ben Jonson, e dell’omonima opera di C.M. Wieland, musicata da Carl Maria von Weber. Fate protagoniste di opere musicali sono quelle di Fairy’s Kiss di Stravisky, The Farmer and the Fairy di Tcheperin e la Fairy Queen di Purcell.
I Troll
La parola troll, il cui corrispondente femminile era flafdr, in antico nordico significa genericamenete “mostro”, e veniva usata per designare tutte le creature, compresi i giganti, dall’aspetto ripugnante, ritenute per questo infelici. Con l’avvento del cristianesimo si usò la parola troll per indicare gli esseri demoniaci, nemici dell’uomo. Nella Grettis saga (c. 1320) i troll sono fra i persecutori di Grettir, insieme ai parenti degli uomini che egli ha ucciso. All’epoca del suo incontro con Marx, Heinrich Heine compose un poema eroicomico dal titolo Atta Troll. Ein Sommernachtstraum (1843-45; Atta Troll, Sogno di una Notte di Mezzestate). Nella raccolta di fiabe popolari norvegesi di Peter Christen Abjørnsen e Jørgen Engebretsen Moe intitolata Norske folkeeventyr (1841-44), i troll di montagna, insieme a fate, divinità e fantasmi, sono derivati direttamenti dalla tradizione pagana norrena. I troll, con gli dèi, gli eroi e i cavalieri risalenti al periodo medievale sono i protagonisti della raccolta del poeta Magnus Brostrup Landstad Norske folkeviser (1853), Ballate popolari norvegesi, che furono fonte d’ispirazione per Henrik Ibsen, che ne fece simboli degli istinti distruttivi più primordiali nelle sue opere Peer Gynt (1867), poi musicata da Grieg (1876), e The Master Builder (1892).
I Folletti
Nella tradizione e nella letteratura la voce folletto comprende decine di varianti. Il termine folletto viene dal lat. follis “pallone pieno d’aria”, molto simile all’italiano ‘privo di senno’, come appare il comportamento di questa creatura all’essere umano. Antenati latini degli attuali folletti possono considerarsi le Garriganae, creature mitologiche descritte da Pomponio Mela (I secolo d.C.) nel suo trattato in tre libri: De Chorogràphia. Vi sono varietà nazionali e persino regionali di folletti, ciascuna con particolari mansioni e peculiarità. In Russia il Domovoy, nella casa, il Bagan, nella stalla, il Gumenik nel magazzino, il Bannik nei bagni delle case, sono tutti custodi della famiglia. Del domovoy e del leshy, spirito del bosco cui anticamente spettava assegnare la preda ai cacciatori, parla Turgenev ne Le memorie di un cacciatore, nel racconto dal titolo Il prato di Biez.
In Irlanda è famoso il Leprecauno, dal celtico luchorpan, “piccolo corpo”, che custodisce un gran numero di pignatte d’oro, che sposta in continuazione e il funesto Cullahan, con la sua carrozza guidata da cavalli senza testa, che è presagio di morte per chi lo incontra. A proposito del Monacello, folletto dell’Italia meridionale, nella raccolta di leggi Pragmatica de locato et conducto – pubblicata a Napoli nel 1587 – è scritto che, se tale folletto infesta una casa e ne assale il locatario, questi ha diritto di abbandonare l’abitazione senza pagarne l’affitto. Vi sono infine folletti che semplicemente si mostrano: gli Huguenot della città di Tours di notte vagano per le strade. Alcuni discendono da divinità antiche: i Coboldi della Germania, fino al XII secolo adorati come genii domestici ed in seguito divenuti nemici dell’uomo; il folletto Trilby, protagonista del racconto Trilby, il folletto di Argail di Charles Nodier che ispirò il celebre balletto La Silfide del 1832, il primo dei grandi balletti romantici; i Soleve delle Alpi francesi, derivati dai Soluviae gallici, divinità silvestri assai misteriose, il cui culto era però diffuso dalla Gran Bretagna alla Dacia, e dai quali – secondo la tradizione – discendono anche le fate.
Gli Gnomi
Secondo il pensiero filosofico, gli gnomi sono forme elementali della terra, infinitamente piccoli, anime nascoste delle cose, organiche ed inorganiche. Con la loro presenza determinano nell’uomo il pensiero, la conoscenza, l’intuizione e la fantasia. Citata dai cabalisti ebrei, la credenza degli gnomi, originaria dell’Oriente, fu introdotta in Europa agli inizi del sec. XVI, legata alla filosofia pitagorica, da Pico della Mirandola a Marsilio Ficino. Si fa risalire il nome a Paracelso e l’etimologia al gr. gnome “giudizio, intelligenza”. Altre definizioni legano questi esseri alla favolistica germanica, e le loro minuscole proporzioni hanno fatto pensare a credenze pagane antecedenti la colonizzazione romana. Vi sono molti tipi di gnomi: dei Boschi; del Giardino; della Casa; della Fattoria e delle Montagne, o delle Miniere; gli Gnomi del Mediterraneo, e gli Gnomi Siberiani. Secondo le teorie di Paracelso, gli gnomi erano capaci di muoversi attraverso la terra come i pesci nell’acqua, mentre gli spiriti elementali dell’aria erano detti silfi, esseri privi di anima, ma mortali, gli elementali del fuoco erano le salamandre e gli elementali dell’acqua erano le ondine, dal latino unda. Eredi delle nereidi greche, divennero molto popolari nella letteratura europea grazie alla storia d’amore Undine(1811) scritta dal barone La Motte Fouquè, da cui fu tratto un libretto prima da E.T.A. Hoffmann nel 1816 e poi da Albert Lortzig nel 1845. In parte ispirato alla figura dell’ondina era anche l’opera di Maurice Maeterlinck Pelléas et Mélisande (1892), musicato da Debussy nel …, come poi anche il dramma di Jean Giraudoux Ondine (1939). Margot Fonteyn fu coreografa e interprete di un balletto ispirato alla stessa creatura magica.
I Goblin
Derivato dalla parola greca kobalos, furfante, secondo una tradizione folklorica, il goblin non sarebbe una creatura magica, ma un vero e proprio piccolo demone, mentre secondo un’altra tradizione il Goblin è uno spirito che vaga ed è spesso malevolo e nocivo. Già nel XVII secolo il poeta e drammaturgo Sir John Suckling intitolava The Goblins (1638) la sua più vivace e meglio riuscita commedia, influenzata da Shakespeare, Beaumont e Fletcher. In Francia i Lutin sono hobgoblin, descritti nel Le prince Lutin di Marie D’Aulnoy (1697). Christina Rossetti, famosa per le opere di genere fantastico, le storie per bambini e la poesia religiosa, intitolò la sua prima raccolta di poesie Goblin Market and Other Poems (1862), le cui illustrazioni furono uno dei primi lavori di Laurence Housman. I goblins furono poi protagonisti dell’opera più fortunata di George MacDonald, The Princess and the Goblin (1872), con il suo seguito The Princess and Curdie (1873), che gli valse il posto di beniamino del pubblico infantile per più di mezzo secolo. Nel film Labirinth di Jim Henson i goblins e i folletti sono protagonisti, e il loro signore ha il volto di David Bowie.
Un Pooka, o Phooka, in gallese pwcca, è un goblin irlandese che può mostrarsi in una grande varietà di forme – spesso un cane o un toro, un capro o un asino, un cavallo o un’aquila – essendo quasi sempre nero con occhi di fuoco. Si diverte ad offrire cavalcate ai viaggiatori stanchi, apparendo come un docile cavallo, ma una volta in sella egli li trascina nella corsa più sfrenata, scagliandoli poi a capofitto in qualche fosso, o fiume gelato, o foresta impenetrabile.
Quanto al «corsier nero», che «ne gli occhi avea carboni», che il suo cavaliere «nel cratere inabissò», si può ricordare La leggenda di Teodorico di Carducci. Il nome deriva dal celtico poc, “capra”. Da questo termine deriva il nome di uno dei personaggi più famosi del teatro: Puck, detto anche Robin Goodfellow, oppure Hobgoblin, secondo quanto narra Shakespeare in A Midsummer Night’s Dream, dipingendolo maestro di infinite metamorfosi, con il gusto per gli scherzi.
Le Selkie
Le selkie sono creature della mitologia celtica, dette anche Seal-Faeries, che solitamente vivono nei mari intorno alle isole Orkney e Shetland, sotto forma di foca.
Una selkie femmina può ‘svestirsi’ della pelle di foca e assumere forma umana, di bellissima donna, e, se un uomo s’impossessa della sua pelle vuota, ella è obbligata a restare con lui ed essergli moglie.
Se, però, riesce a ritrovare la propria pelle può liberarsi e tornare in mare, ed il marito, allora, muore di crepacuore.
Nella ballata The Great Silkie of Sule Skerry una donna mette al mondo un figlio che, divenuto adulto, raggiunge suo padre in mare, divenendo vittima dopo poco del marito umano della madre, cacciatore di foche. Nel 1995 dal tema della selkie viene tratto un bellissimo film da John Sayles, Il segreto dell’isola di Roan (Secret of Roan Inish).
Sirene e Tritoni
Le sirene e i tritoni, in inglese mermaid e merman, sono esseri marini favolosi, i cui antenati sono forse da rintracciare nel dio del mare dei Caldei, Ea, oppure Oannes.
Mortali, ma privi di anima, questi esseri sono quasi sempre associati al canto e alla musica, e uno di loro è il protagonista della poesia di Matthew Arnold, Forsaken Merman.
In Russia è detta rusàlka la creatura che abita i laghi, spirito di bambini morti senza battesimo o fanciulle annegate, nella zona del Danubio detta vila, è protagonista di una lirica di Pushkin, La Rusalka, di un’omonima opera di Dvoràk e di Dargomyzhsky, ed è nominata da Turgenev nel Prato di Biez.
Molto affascinante è anche la leggenda della fata Mélusine, nel Livre de mélusin di Jean D’Arras (1478) che un giorno a settimana per un incantesimo vedeva le sua gambe trasformarsi in una lunga coda come di serpente, e doveva rimanere in acqua fino al calar del sole, senza poter essere vista da alcun essere vivente.
I Fuochi Fatui
Fuochi Fatui, Folletti del Lanternino, St. Elmo’s Fire oppure will-o’-the-wisp, Feu-follet, sono tutti nomi per quel fenomeno che è detto con nome latino ignis fatuus, in meteorologia detto anche jack-o’-lantern, una luce misteriosa, simile a un fuocherello che si muove sospeso nell’aria sopra le zone paludose, e che si allontana ogni qualvolta si cerchi di avvicinarlo.
Secondo le leggende, il fuoco fatuo è di cattivo auspicio, spesso è ritenuto essere l’anima di uno che sia stato rifiutato dall’inferno, e che si porta il proprio infernale con sé mentre vaga. James Fenimore Cooper, in The Wing-and-Wing; o, Le Feu-follet (1842), ne fece il protagonista di una storia che fu rinarrata da Drieu La Rochelle con il titolo Le Feu follet (1931; Il fuoco dentro o Will o’ the Wisp), da cui Louis Malle trasse un film con lo stesso titolo nel 1963.
Di fuochi fatui, troll mangiapietra, incubi e altre creature magiche si narra ne La storia infinita di Michael Ende, che nel 1984 divenne un film per la regia di Wolfgang Petersen.
Eccezionalmente ricco iconograficamente il film Legend di Ridley Scott, che riunisce in un ambientazione fantastica accuratissima quasi tutte le creature magiche menzionate.
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