Il Bardo Todol e il Peremheru

Il libro tibetano dei Morti, o Bardo Todol, così come il Libro dei Morti nell’Antico Egitto, il Peremheru, è ricco di formule da recitare, per aiutare il trapassato a scindersi dall’attaccamento alle “cose” terrene.

Essi indicano il cammino irto di ostacoli da superare, per giungere a vedere la “Chiara Luce”.

Per comprenderli bisogna entrare nell’ottica umana, ovvero nei tentativi di avvicinamento alla divinità nei momenti bui, dentro la tempesta e di leggerezza in quelli in cui ci si sente più sicuri.

Per cominciare a comprendere i Libri dei Morti, è importante conoscere ad esempio, la storia di Giona.

Giona è un personaggio biblico che viene mandato da Dio ad avvertire la città di Ninive del pericolo imminente e devastante a cui sta andando incontro la città; egli però non vuole andare e cerca ogni scusa per sottrarsi a quell’impegno.

Ad ogni modo si mette in viaggio, con una meta diversa da quella suggeritagli da Dio e presto si ritrova in balia dei venti di una tempesta in mare. Egli stesso avverte l’equipaggio che dev’essere lasciato in mare con una zattera, se i marinai vogliono avere salva la vita e, con l’aumentare della tempesta, Giona viene calato in mare.

Di lì a poco sopraggiunge una balena che lo inghiotte, subito dopo che Giona supera la sua paura e si lascia andare incontro al suo destino. Per tre giorni e tre notti Giona rimane dunque in balia delle tenebre chiuso in una tomba di terrore, ma a poco a poco le tenebre si rischiarano ed egli vede un leggero chiarore; così Giona canta invocando Dio in lui:

Dal profondo terrore

sale a Te la mia voce,

Signore e ti raggiunge!

Chiuso in questo sepolcro

scopro di avere occhi per vedere

e orecchie per udire.

Ti chiamo dal profondo

di questo nero abisso!

Il gorgo mi ha inghiottito

ed i flutti mi hanno ricoperto.

Davanti a te, Signore,

mi piego coi ginocchi del pensiero.

La terra mia si è disciolta nel mare.

E si è corrotta e putrefatta

ma ogni mio granello che scompare

Tu, Signore, lo serbi.

Il mio pensiero pensa

ma anche il mio cervello si è disfatto!

Dalla torre dei morti

Ti chiamo e mi rispondi.

Il mio cuore si espande

e Ti ringrazia di avermi salvato.

A queste parole Giona viene vomitato dalla balena, su una spiaggia (il trapasso è avvenuto) e finalmente prende la decisione di recarsi a Ninive (la nuova meta), come gli era stato ordinato da Dio.

Arrivato dunque sulla nuova terra, si mette a predicare l’arrivo prossimo di un cataclisma e ad avvisare i cittadini che hanno solo quaranta giorni per pentirsi, ma poiché allo scadere dei giorni, non si verifica nessun evento distruttivo, Giona si adira con Dio per avergli fatto fare la figura del “buffone”… la storia continua con la fuga nel deserto di Giona dove finalmente egli ritrova la pace, comprende l’insegnamento del perdono ed impara a distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto.

Questa storia vuol insegnare a dare Fiducia a quella Voce cosciente che ci indica la Via; ad accettare la Morte come momento di Liberazione (Giona dentro la pancia della balena viene liberato dal mare in tempesta) e a meditare sul significato di vita e di TRAPASSO (si pensi ai tre giorni passati al buio prima di riveder la Luce, equiparabili alle settantadue ore circa che ci vogliono per consentire il distacco totale dal corpo materiale), possibilmente già durante la “vita” affinché in morte l’Anima sia consapevole e possa prima possibile riconoscere la Luce per accoglierla in sé.

Il Bardo Todol è noto dai più come Libro Tibetano dei Morti, così come il Peremheru è conosciuto come Libro dei Morti nell’Antico Egitto.

La parola Bardo significa Morte, passaggio, mentre Todol indica Liberazione, quindi il Libro vuole indicare il cammino da seguire per non avere paura della Morte e saperla affrontare con consapevolezza, già in vita (così come Giona ha accettato l’incontro con la Balena).

Il Bardo è inteso anche come modificazione del modo di pensare e questo viaggio incomincia già con le coscienze raggiunte nello stato di veglia, di sonno e di concentrazione/meditazione.

Il Bardo ha il compito di arrivare a comprendere come non ci sia reale scissione fra la tenebra luminosa e la luce tenebrosa, ma che entrambe sono aspetti riflessi dal proprio modo di vedere le cose animate ed inanimate. In verità si tratta di comprendere il senso del respiro vitale fatto di espansione e di contrazione, due aspetti complementari fra loro. Pertanto l’errore, il peccato originale consiste nel credere che la Luce sia il Bene e la tenebra il Male, in quanto non c’è Bene e non c’è male: tutto è bene e male allo stesso tempo.

Il Bardo Todol, il Libro tibetano dei Morti, è un’uscita verso la Luce, proprio come il Peremheru o Libro dei Morti nell’Antico Egitto. Coloro che meditano nello stato di Bardo divengono capaci di ascendere alla Luce; per essi la Morte diviene dunque una Rinascita iniziatica.

Per le Anime assalite dalla paura e/o attaccate alle cose terrene, la Liberazione è ardua; per questo il Libro tibetano è ricco di formule da recitare in vita dai vivi, per aiutare chi è in postmortem a trapassare (cioè a staccarsi dalle cose terrene), per riconoscere ed accogliere in sé la Luce.

Vi sono numerose analogie fra il Bardo Todol e il Peremheru. Entrambi presuppongono un momento in cui si viene giudicati e si fa una sorte di confessione negativa “io non ho commesso alcuna cattiva azione” (Bardo Todol). La menzogna in questo Regno non ha alcuna pregnanza, il proprio cuore viene straziato se si cerca di mentire, in quanto non si può morire se si è già morti.

La morte diviene dunque un’allucinazione provocata dal terrore.

Secondo il Libro tibetano dei Morti, il momento finale che favorisce il passaggio dell’Anima nell’Aldilà è rappresentato da questo canto:

Quando i granelli di sabbia

della vecchia clessidra

saranno tutti scesi,

chi ci darà soccorso?

O voi, tranquili e solitari

Pensieri Luminosi

conquistatori del vero,

voi, volitivi e scatenati

Pensieri tenebrosi

debellatori del male,

dissipate e sciogliete

la mia crassa ignoranza!

Errerò solitaria,

lontano dagli amici miei più cari,

ma tu, Uomo Perfetto,

Divina Compassione,

sciogli i nodi ai pensieri

fabbricatori di fantasmi.

Quando la chiara Luce Tenebrosa

brillerà tutto intorno,

sappia io riconoscerla e capire

che proviene da me.

Quando il più alto Suono

della Vera Realtà

esploderà con mille suoni,

sia per me come udire,

la Verità che dolcemente parla!

Possa io districarmi

dai lacci delle colpe

e trovare la strada

per ritornare al Regno.

Per quanto riguarda il Peremheru, nel testo del capitolo CXXV del Libro dei Morti nell’Antico Egitto, viene rappresentata la scena della “pesatura del cuore” o Psicostasia.

Da notare come per gli Egizi, il concetto di Anima sia diversificato in cinque aspetti: il Ka (la forza vitale rappresentata come una statuetta con le sembianze del defunto), il Ba (la parte spirituale riprodotta solitamente con un uccello che vola sui luoghi in cui il trapassato viveva), l’Akh (l’immortalità rappresentata con l’uccello ibis che si libra in alto leggero), il Nome e l’Ombra.

La scena della psicostasia aveva la funzione di visualizzare e rendere reale il Tribunale immaginario, presieduto da Osiride, solitamente collocato nelle raffigurazioni a sinistra sopra un trono all’interno di un baldacchino.

Il Libro tibetano dei Morti, o Bardo Todol e il Peremheru, quello dell’Antico Egitto a confronto

Le colonne raffigurate inoltre avevano anch’esse una funzione non solo evocativa, ma di sostegno vero e proprio della struttura del Regno dell’Aldilà.

Ci sono ancorché tre elementi che servono a costituire simbologie importanti: la piuma (che rappresenta la dea della Maat, la divinità della giustizia, della verità e dell’Ordine cosmico), il braciere ardente (dove si bruciava l’incenso), il serpente ureo, il cobra reale (simbolo di regalità).

Dire le parole per l’Osiride Hor, giusto di voce, figlio di Qehekairedis, giusta di voce (essere giusti di voce era necessario per essere trapassati nell’Aldilà e non divorati dal mostro dagli occhi rossi).

Saluto voi signori delle due Maat, saluto te dio grande, signore delle due Maat. Io sono venuto presso di Te mio Signore. Sono stato condotto da voi affinché io possa veder la perfezione. Io conosco il tuo nome.

Io conosco il nome delle quarantadue divinità che si trovano nella Sala delle due Maat e che vivono della guardia dei malvagi e che bevono del loro sangue in questo giorno che valutano le qualità davanti ad Unnefer giusto di voce (…) Io non ho privato. Io non ho commesso ciò che detestano gli dei. Io non ho calunniato un servitore presso il suo superiore. Io non ho affamato. Io non ho fatto piangere. Io non ho ucciso. Io non ho ordinato di uccidere con menzogna.

Non ho detto falsità su nessuno. Non ho sottratto offerte ai templi. (…) Non ho costruito una diga sull’acqua per impedire il suo fluire rapido.

Dopo la psicostasia il defunto incontrava il Tribunale con i quarantadue giudici e li chiamava ad uno ad uno per nome, elencando tutti i propri pregi possibili, sempre attraverso la confessione negativa.

  1. Oh “Lungo di passo” che esce da Elipoli, io non ho fatto errori.
  2. Oh “Allarga bocca” che esce da Her-Aha, io non ho rubato.
  3. Oh “Nasuto” che esce da Ermopoli, io non sono stato rapace.
  4. Oh “Ingoia Ombre” che esce dalla caverna, io non ho rubato.
  5. Oh “Signore dei Volti” che esce dalla necropoli, io non ho ucciso gente.
  6. Oh “Doppio leone” che esce dal cielo, io non ho danneggiato i fabbisogni (alimentari).
  7. Oh “Occhi di fuoco o ardenti” che esce da Letopoli, io non ho commesso crimini.
  8. Oh “Fiammeggiante di volto” che esce da Eliopoli, io non ho rubato i beni del dio.
  9. Oh “Rompi ossa” che esce da Eraclepoli Magna, io non ho detto menzogna.

Seguono gli altri Giudici fino alla completa elencazione, dove al quarantaduesimo passo l’Anima dice:

Oh “Bruciante” che esce dalla Duat, non ho rubato.

Il tema della Morte dunque è sempre stato al centro delle civiltà del passato e ancora oggi ci si sofferma ad interrogarsi su cosa sia e come si faccia a superarne la Paura che alberga nei cuori. Per questo motivo i Libri dei Morti affascinano con le loro formule contenute all’interno.

Entrambi i Libri dei Morti sono in stretta analogia simbolica, nonostante lo spazio ed il tempo siano distanti fra loro. Essi danno uno spaccato della vita quotidiana delle società e insegnano a superare il terrore delle tenebre, imparando a veder queste ultime come un aspetto della vita stessa: giorno e notte, luce e oscurità, sole e luna.

Da quanto detto dovrebbe esser chiaro come sia importante studiare la Morte per comprendere il significato profondo della Vita che è, in ultima analisi, lo scopo spirituale di questa esistenza.

 

Fonti: Mario Pincherle “Libro tibetano dei MORTI” –

Luca Peis “Peremheru – Il libro dei Morti nell’Antico Egitto”


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