In Perù esiste una città (Ollantaytambo) che rappresenta un mistero per studiosi e archeologi, poiché presenta caratteristiche costruttive alquanto particolari.
Tra i numerosi siti archeologici peruviani che sconcertano per la loro realizzazione architettonica, ne esiste uno meno conosciuto, ma che forse è il più sbalorditivo di tutti: l’antica città di Ollantaytambo, nel Perù meridionale, a circa 60 chilometri a nordovest della città di Cuzco. Gli enormi megaliti e la perfezione dell’intaglio della pietra fanno ritenere ai teorici degli Antichi Astronauti che Ollantaytambo sia la prova che la Terra del passato sia stata visitata da intelligenze extraterrestri.
Ollantaytambo è un sito archeologico Inca che si trova nel Perù meridionale, nella regione di Cuzco, ad un’altitudine di 2792 metri sopra il livello del mare.
Le rovine dell’antica città giacciono in un luogo che gli Inca chiamavano “Valle Sacra”.
Gli storici convenzionali ritengono che Ollantaytambo sia stata costruita nel 1440 d.C. dall’imperatore Inca Pachacuti.
Alcuni ricercatori, invece, sono convinti che sia stata costruita sulle rovine di una città molto più antica, le cui origini rimangono sconosciute.
“La porta che viene chiamata ‘Il Cancello degli dei’ è stata costruita migliaia di anni prima che gli inca arrivassero in questa regione, da una civiltà che chiamiamo Hurimpacha”, spiega Brien Foester, autore del libro A brief history of Incas. “Gli abbiamo dato questo nome perché non abbiamo idea di chi fossero, da dove venissero e dove sono andati”. Secondo Foester, i reperti più antichi di Ollantaytambo risalgono almeno a 12 mila anni fa.
Ma come hanno potuto i primi esseri umani sulla Terra costruire queste sorprendenti strutture in pietra, con grandi blocchi che si incastrano alla perfezione, con acquedotti e sistemi di irrigazione che funzionano ancora oggi? E come avrebbero potuto spostare enormi massi di granito, ognuno del peso di più di 50 tonnellate?
Una fortezza sacra
“Ollantaytambo è una fortezza di montagna”, spiega Andrew Collins, autore di The Cygnus Mystery, “conosciuta soprattutto per le incredibili dimensioni dei blocchi utilizzati nella sua costruzione. In particolare, quelli ritrovati nel livello più alto della montagna. Ci sono sei mastodontici blocchi di granito posizionati in linea”.
I monoliti sono stati trasportati da un altro sito, attraversando una piana, un fiume e poi portate in alto sulla montagna. Chiaramente, il mistero più grande è capire come le abbiano tagliate e portate fin lassù.
Al giorno d’oggi, infatti, se dovessimo spostare un masso di 50 tonnellate dovremmo assemblare un’unità di trasporto speciale, comprendente travi metalliche, assi e ascensori idraulici. Per portarlo fino in cima, probabilmente bisognerebbe modificare l’altura, costruire una strada, fissare il masso con dei cavi metallici ad un sistema di carrucole. Molte opzioni differenti, ma nessuna di esse disponibile alle persone dell’epoca.
L’abilità di sistemare perfettamente insieme queste pietre di diverse tonnellate, in modo che fra di esse non ci passi nemmeno un capello, non è una questione di tempo o di fatica, ma una questione di tecnologia. Gli archeologi tradizionali sostengono che il granito sia stato tagliato e modellato con strumenti di pietra e di bronzo.
Ciò che è veramente strano è il modo in cui le grandi rocce sono state fissate, come se fossero state fuse insieme da una fonte sconosciuta di calore. E’ come se due pietre fossero state posizionate una accanto all’altra e poi fuse insieme con qualche forma di raggio ad altissima energia. Guardando la configurazione dei blocchi, non c’è proprio spiegazione su come potessero aver creato una fonte di calore tanto intensa, al punto da saldare le rocce l’una alle altre.
Ulteriori prove dei misteriosi metodi utilizzati dagli antichi costruttori possono essere trovate nel vicino Tempio del Condor. Qui, enormi lastre di andesite venivano estratte dal luogo conosciuto come Il Muro della Roccia Viva.
“Il Tempio del Condor è particolare, perché troviamo delle enormi sezioni di pietra a forma di parallelepipedo” commenta Collins. “Si tratta di andesite, una roccia molto dura, ed è stata rimossa dalla montagna con tanta accuratezza che non si trovano segni di scalfittura sulla superficie. La superficie rocciosa sembra ruvida, ma quando la tocchi sembra liscia come le piastrelle del bagno, il che significa che è stato usato un qualche processo di vetrificazione”.
Utensili preistorici non avrebbero potuto ottenere questo risultato, soprattutto se si pensa che Ollantaytambo è fatta quasi tutta di andesite. Per tagliarla serve qualcosa di più duro della semplice pietra o del bronzo. Si poteva utilizzare il diamante, ma non c’erano strumenti nell’età della pietra che potessero tagliare queste rocce.
È possibile che gli antichi costruttori di Ollantaytambo abbiano davvero utilizzato utensili provenienti da un altro mondo, così come sostengono i Teorici degli Antichi Astronauti? Qualche indizio può essere trovato negli antichi miti di creazione tramandati nelle Ande.
In essi, gli antenati, o fondatori, sono descritti come fratello e sorella, figli del Dio Sole, mandati sulla Terra dal Dio Sole stesso. Questi due enigmatici personaggi giungono sulla Terra in possesso di un cuneo dorato. È possibile che questo potesse essere una sorta di utensile tecnologico in grado di tagliare la pietra, fonderla e farla addirittura levitare, capace di vincere la forza di gravità?
Il fatto che Ollantaytambo abbia a che fare con la tradizione del cuneo dorato, può solo significare che in quel luogo, migliaia di anni fa, qualcosa di straordinario è veramente successo.
Rocce fuse?
Quando si osservano le gigantesche costruzioni megalitiche che l’impero Inca si è lasciato alle spalle, subito balza agli occhi l’incredibile precisione con la quale sono stati posizionati i blocchi di pietra, alcuni dei quali pesanti più di 150 tonnellate. Come ha potuto una civiltà tanto primitiva realizzare delle opere architettoniche così precise?
Nella sierra sud del Perù, a più di 3400 metri di altitudine, si trova Cuzco, l’antica capitale dell’Impero Inca.
Qui è possibile osservare una delle realizzazioni architettoniche più sconcertanti dell’archeologia sudamericana: la Calle Hatun Rumiyuq, la strada che va dalla piazza de Armas fino al Barrio de San Blas.
La via è costeggiata da un’incredibile muraglia in pietra realizzata a secco, utilizzando una serie di massi accuratamente tagliati per combaciare perfettamente uno accanto all’altro. I massi corrispondono così perfettamente che nella fessura tra l’uno e l’altro non è possibile inserire nemmeno uno spillo.
Nel muro è incastonata una pietra che più di tutte ha attirato da sempre l’attenzione dei ricercatori e dei turisti: è la famosa “pietra dei dodici angoli” (immagine in apertura), un masso di notevoli dimensioni perfettamente scolpito per combaciare con le pietre che lo circondano. La precisione dell’assemblaggio è davvero sconcertante.
Le terrazze di Sacsayhuamán
A circa 2 chilometri a nord di Cuzco, ad un’altitudine di 3700 metri, si trova Sacsayhuamán, un complesso fortificato realizzato in pietra che estende su un’area di 3 mila ettari.
Anche qui la tecnica di assemblaggio delle strutture in pietra mostra una precisione che non ha paragoni in America. Alcune delle rocce utilizzate dagli antichi costruttori raggiunge le 150 tonnellate, un peso che avremmo difficoltà a spostare anche con le moderne attrezzature a nostra disposizione.
La precisione con la quale i blocchi sono stati posizionati, combinata con gli angoli arrotondati di alcuni di essi, la varietà delle forme ad incastro e il modo in cui i muri sporgono verso l’interno, ha sconcertato gli scienziati per decenni.
Come hanno fatto gli Inca a realizzare opere così precise avendo a disposizione solo utensili in pietra?
Ad oggi, il metodo utilizzato dagli Inca per abbinare con precisione maniacale le incisioni tra i blocchi di pietra è ancora sconosciuto, soprattutto perché nessun attrezzo è stato rinvenuto in prossimità del sito.
La spiegazione “ufficiale” è che gli Inca siano riusciti in qualche modo ad indovinare la forma da dare ai blocchi utilizzando semplici strumenti di pietra. Praticamente, posizionavano la pietra sul posto, osservavano la forma di quelle adiacenti e la mettevano giù per realizzarne la forma.
Poi la innalzavano nuovamente e, se non corrispondeva, ripetevano l’operazione fino a quando i blocchi non combaciavano perfettamente. Tutto questo sarebbe stato eseguito con massi che raggiungevano le 100 tonnellate. Ma è possibile immaginare una procedura tanto complessa e faticosa?
Considerando l’assoluta precisione dei tagli, che sarebbe stata ottenuta utilizzando utensili in pietra, e il reiterato innalzamento dei mastodontici blocchi senza l’utilizzo di gru meccaniche, l’intero processo appare straordinariamente improbabile.
Nei libri di storia si legge che Sacsayhuamán all’epoca dei conquistadores era occupata dagli Inca e che i lavori della sua costruzione siano stati completati nel 1508. Ma Garcilaso de la Vega, uno scrittore peruviano nato nel 1539 a Cuzco, affermava di non avere idea su come fossero state realizzate le strutture di Sacsayhuamán.
Inoltre, quando i conquistadores spagnoli arrivarono in Perù, appresero dagli stessi Inca che le strutture megalitiche erano lì da molto tempo prima di loro, costruite da un popolo diverso. Se i costruttori erano più antichi degli Inca, vorrebbe dire che è esistita una civiltà molto più avanzata di cui non sappiamo quasi nulla, tranne che avrebbe avuto la possibilità di creare una fortezza come quella di Sacsayhuamán.
Teoria alternativa
Di recente, un’interessante teoria è stata avanzata per tentare di spiegare la straordinaria modellazione dei blocchi di pietra e che affonda le radici in una leggenda riportata dai primi esploratori arrivati in zona, come Hiram Bingham e il leggendario Parcy Fawett.
La leggenda afferma che gli antichi fossero in possesso di un particolare liquido ottenuto dalle piante, capace di rendere la pietra morbida e facile da modellare. Più tardi, nel 1983, Jorge A. Lira, un sacerdote cattolico, affermò di aver riprodotto la tecnica per ammorbidire la roccia, ma di non essere in grado di rendere le pietre di nuovo solide.
Altri hanno addirittura ipotizzato che i costruttori di Sacsayhuamán fossero in grado di fondere la roccia fino a darle la forma voluta, ma per ottenere un tale effetto sarebbero state necessarie temperature elevatissime. Tuttavia, mentre le teorie rimangono speculative, si può essere abbastanza sicuri che martelli di pietra e ripetuti sollevamenti non possano garantire la precisione e la forza necessaria per realizzare una struttura come Sacsayhuamán. Monumenti enigmatici come questi ci invitano a conoscere meglio il nostro passato, così da renderci conto di quanto possano essere stati avanzati i nostri antenati.
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