Il libero arbitrio, la coscienza e la vera creatività sono proprietà non algoritmiche, che possono esistere soltanto in quella dimensione fondamentale dell’universo rappresentata dalla fisica quantistica.

Si può subito affermare che, se l’universo fosse un sistema deterministico, come la realtà descritta dalla fisica classica, il libero arbitrio non potrebbe esistere. La ragione è semplicissima: lo stato di un sistema deterministico è stabilito da un algoritmo che trasforma univocamente lo stato presente in quello successivo. In questa realtà il libero arbitrio, definito come una decisione creativa, cioè non deterministica, non può esistere. E, senza libero arbitrio, la coscienza da sola non può essere la causa di un qualsivoglia evento nel mondo materiale.

Questo è il motivo per cui nella visione scientifica corrente, in cui il cervello è considerato un sistema informatico classico, la coscienza è vista come una sua proprietà emergente priva di potere causale. Il cervello prende tutte le decisioni e la coscienza ne è semplicemente informata. La coscienza è, quindi, epifenomenale e, come tale, non merita nemmeno la pena di essere studiata. Come vedremo in seguito, invece, il libero arbitrio e la coscienza esistono, sono causali e hanno caratteristiche straordinarie che possono essere spiegate soltanto come proprietà dell’informazione quantistica.

La realtà fisica è correntemente descritta dalla teoria quantistica dei campi, in cui l’ontologia è rappresentata dai campi quantistici, da cui emergono le particelle elementari, gli atomi e le molecole come stati dei campi. Le particelle non sono più oggetti come lo erano nella fisica classica, ma sono invece stati eccitati di un campo, inseparabili dal campo, perché connessi “da dentro” mediante quella proprietà straordinaria che si chiama entanglement quantistico. Tale proprietà non è presente nella fisica classica e causa correlazioni tra gli stati quantistici che non potrebbero esistere se questi stati fossero classici.

L’entanglement è ciò che distingue la fisica quantistica da quella classica e, in maniera ancora più sorprendente, rende l’informazione quantistica non-clonabile, cioè non riproducibile, mentre l’informazione classica è condivisibile, cioè si può copiare. Inoltre, la teoria quantistica dei campi è controintuitiva, perché non descrive più gli “oggetti che si muovono nello spaziotempo”, come fa la fisica classica, ma può predire soltanto quali siano le probabilità di misurare gli “stati” dei campi.

Quindi la fisica quantistica non predice più la dinamica degli oggetti, ma solo ciò che si può conoscere dei possibili stati dei campi, cioè le probabilità di essere misurati. Come vedremo, il fatto che l’informazione quantistica non sia clonabile, e sia quindi privata, ci permetterà per la prima volta di definire la coscienza in maniera adeguata.

Il libero arbitrio è quantistico

Abbiamo visto che un sistema classico è deterministico. Infatti, la probabilità classica si riferisce alla mancanza di conoscenza di uno stato che già esiste, poiché lo stato successivo è certo, quindi il libero arbitrio non può esistere. La realtà quantistica, invece, è indeterministica e probabilistica, perché la teoria può predire soltanto le probabilità di manifestarsi che hanno tutti i possibili stati, ma non può dire quale sarà lo stato che si manifesterà. La scelta di tale stato è oggi attribuita al cosiddetto collasso della funzione d’onda, il processo ancora inspiegato, che produce la transizione dalle molte possibilità quantistiche predette dalla teoria allo stato classico che si misura.

Tale scelta non è però specificata dalla teoria, quindi è possibile che essa sia una decisione di libero arbitrio fatta dal campo quantistico. Ciò è ancora più plausibile, se si considera che la probabilità usata nella fisica quantistica si riferisce alla mancanza di conoscenza di uno stato che è inconoscibile prima della misura – una scelta fondamentalmente diversa da quella incontrata nei sistemi classici, oggi attribuita a pura randomness.

Questa interpretazione non locale e creativa è la sola che può spiegare la statistica delle correlazioni degli stati quantistici entangled. Ciò ci permette di dire che la casualità quantistica legata al collasso della funzione d’onda non è algoritmica, proprio come non lo è un atto creativo di libero arbitrio. Pertanto, è legittimo sostenere che lo stato che si manifesterà non è predicibile, perché è dovuto a una decisione di libero arbitrio.

La presenza del libero arbitrio presuppone l’esistenza di enti coscienti con intenzione propria e con la capacità di esperire, comprendere e dirigere la loro esperienza. Questi enti sono caratterizzati da tre proprietà fondamentali e intrecciate, la coscienza, l’identità e l’agentività, simili a quelle che ci caratterizzano. Nel libro Irriducibile (Federico Faggin, Mondadori) ho chiamato tali enti seity.

La coscienza è la capacità di una seity di esperire il proprio stato e di comprenderne il significato. L’identità è la capacità di dirigere con libero arbitrio la propria esperienza, perché la seity sa che l’esperienza che sta vivendo è la sua. In altre parole, la seity è autocosciente. L’agentività è la capacità di decidere con libero arbitrio quale porzione dei simboli classici dell’ambiente osservare e trasformare in esperienza e quale parte del significato della propria esperienza trasformare in simboli condivisibili per comunicarla.

La natura della coscienza

La seguente teoria è stata sviluppata con il professore Giacomo Mauro D’Ariano, titolare della cattedra di fisica teorica all’Università di Pavia, e si basa sulla Operational Probabilistic Theory, che D’Ariano aveva creato insieme ai suoi collaboratori. Secondo la Operational Probabilistic Theory, la fisica quantistica emerge da sei postulati interamente informazionali, quindi essa viene dopo l’informazione quantistica. La nostra teoria afferma che un sistema quantistico che si trova in uno stato quantistico puro è consapevole del proprio stato. Uno stato quantistico puro è uno stato ben definito, non clonabile e rappresentabile da un vettore unitario in uno spazio di Hilbert complesso.

La non riproducibilità di uno stato quantistico è garantita dal teorema di non clonazione. Ciò vuol dire che lo stato quantistico è privato, non conoscibile da fuori, esattamente come lo è la nostra esperienza. Infatti, ciò che provo dentro di me non è conoscibile da fuori. Non solo, nemmeno io lo posso trasferire a un altro. Io posso soltanto descrivere ciò che provo usando simboli condivisibili, cioè utilizzando informazione classica. Però il teorema di Holevo ci assicura che la massima informazione che posso trasferire è un bit classico per ogni quantum bit che rappresenta la mia esperienza. Questa è una quantità d’informazione esigua rispetto a quella necessaria per rappresentare l’esperienza.

L’espressione “consapevole del proprio stato” vuol dire che il sistema quantistico conosce dentro di sé ciò che esperisce sotto forma di sensazioni e sentimenti, che sono ciò che i filosofi chiamano qualia. Per esempio, il gusto della marmellata di albicocche, l’esperienza del colore giallo o l’amore che provo per un figlio sono i qualia, mediante cui ho un’esperienza interiore del mio stato. Conosciamo noi stessi e il mondo, perché proviamo qualia nella nostra coscienza e ne comprendiamo il significato. Ciò che proviamo è, però, privato e inconoscibile da fuori.

A ciò che affermava la fisica quantistica, ossia che uno stato quantistico puro è uno stato ben definito, non clonabile e rappresentabile da un vettore unitario in uno spazio di Hilbert complesso, D’Ariano e io abbiamo aggiunto che lo stato puro può essere conosciuto dal sistema che è in quello stato e soltanto da esso. Così facendo possiamo anche spiegare perché l’informazione quantistica non è clonabile: non è riproducibile, perché rappresenta l’esperienza di un sistema, esperienza che è conoscibile solo dal sistema stesso.

L’informazione quantistica rappresenta quindi la conoscenza di sé di enti coscienti che formano l’universo quantistico, da cui deriva l’universo classico condivisibile. In altre parole, questa teoria afferma che uno stato quantistico puro è una rappresentazione matematica efficace di un’esperienza cosciente, perché possiede le stesse caratteristiche cruciali di ciò che rappresenta. L’informazione quantistica non rappresenta quindi informazione, ma l’esperienza cosciente e soggettiva di un sistema che si trova in uno stato puro.

Le conseguenze di questa affermazione sono enormi e di estrema importanza per capire la natura della realtà. È importante sottolineare che la rappresentazione matematica di un’esperienza non è l’esperienza, perché essa è conoscibile direttamente soltanto dal sistema che si trova in quello stato. Ossia, la natura di tale conoscenza privata non è numerica, ma è qualitativa e soggettiva, perché un ente cosciente “conosce” il proprio stato “sentendolo” mediante le sensazioni e i sentimenti che prova, cioè i qualia.

All’interno della fisica, l’unico modo per conoscere è mediante una misurazione che produce un valore numerico. Questo valore è un’informazione oggettiva, pubblica e condivisibile, cioè un’informazione classica, di cui il bit ne è il quantum più piccolo. La nuova teoria dice, invece, che esiste un modo più profondo di conoscere, che però è privato ed è rappresentabile soltanto con informazione quantistica non clonabile, di cui il quantum bit, o qubit, ne è il quantum più piccolo.

Ma il qubit rappresenta un’infinità di possibili stati, rappresentabile come una qualsiasi direzione in uno spazio tridimensionale definibile con due numeri reali. Quando si misura un qubit, si deve scegliere una direzione in cui fare la misura. Tuttavia, qualsiasi sia la direzione scelta, la misura ci darà soltanto un bit classico: “uno” se la direzione è quella scelta, “zero” se la direzione è opposta a quella scelta. E la teoria non predice lo stato che misureremo, ma può solo predirci la probabilità dei due possibili stati che misureremo.

È importante riconoscere che i simboli classici, che usiamo per comunicare il significato delle nostre esperienze, non si devono confondere con ciò che proviamo dentro di noi. Inoltre, i simboli devono essere compresi dai loro destinatari, cioè tradotti in significato nella coscienza di chi li riceve. Il significato dello stesso simbolo dipende quindi dalla comprensione cosciente del ricevente. E il linguaggio simbolico delle seity innesca quindi un processo che consente la coevoluzione dei simboli e dei loro significati.

Le sensazioni e i sentimenti, cioè i qualia, sono proprietà dell’ente cosciente, che conosce se stesso e il mondo mediante loro. Tale esperienza non può essere descritta da nessuna teoria fisica, perché è oggettivamente indescrivibile. La mappa non è il territorio. La mappa sono i simboli condivisibili che usiamo per descrivere il territorio, che può essere conosciuto soltanto privatamente. Il territorio e il suo autoconoscersi sono quindi proprietà indivisibili e coemergenti dalla totalità di ciò che esiste, la sorgente delle seity che chiamo Uno.

Oltre il determinismo

Durante l’ultimo secolo abbiamo scoperto che l’universo è allo stesso tempo quantistico e classico, indeterministico e deterministico. Queste sembrano proprietà contraddittorie, ma la realtà fisica è davvero stupefacente. Secondo questa nuova teoria il determinismo classico rappresenta l’aspetto informatico condivisibile, oggettivo e algoritmico, che emerge dall’informazione quantistica indeterministica e probabilistica, che rappresenta la realtà soggettiva, privata, creativa e non-algoritmica più profonda.

In questa teoria, simbolo e significato sono rappresentati rispettivamente da informazione classica e informazione quantistica. Ecco, quindi, la necessità di avere un’apparente dualità che offusca la profonda unità olistica e dinamica di Uno. Simbolo e significato sono irriducibili e indivisibili: sono le facce dinamiche della stessa medaglia, lo Yin e lo Yang della natura più profonda della realtà che ciascuno di noi condivide.

Il libero arbitrio, la coscienza e la vera creatività sono proprietà non algoritmiche, che possono esistere soltanto in quella dimensione fondamentale dell’universo rappresentata dalla fisica quantistica.
La dimensione descritta dalla fisica classica deterministica e algoritmica emerge, invece, dal bisogno delle seity di comunicare con simboli condivisibili per conoscere se stesse, dato che le loro esperienze sono private e incomunicabili direttamente.

In questa teoria emerge anche la possibilità che esistano organismi viventi quantistici e classici. Tali organismi possono essere controllati top down da seity e interagiscono classicamente tra di loro e con l’ambiente. Ciò consente alle seity di operare in un mondo fisico macroscopico, che è predicibile, e creare attraverso le loro comprensioni e azioni libere ciò che altrimenti non potrebbe mai emergere spontaneamente mediante variazioni casuali.

I pregiudizi più dannosi del nostro tempo sono che la coscienza e il libero arbitrio sono epifenomeni del cervello animale. Ciò sarebbe vero soltanto se l’universo fosse locale e deterministico, nel qual caso l’universo sarebbe una macchina cieca e buia senza significato e senza scopo. La nostra coscienza è invece la luce che la concezione materialista e riduzionista non è ancora riuscita a eliminare completamente. Noi siamo esseri di luce, non macchine, ed è arrivato il momento di riconoscere l’immenso potere che ci distingue dalla realtà simbolica che il materialismo ha definito essere la sola realtà. Solo se cambieremo l’idea di chi siamo potremo superare brillantemente le enormi sfide che il nostro secolo ha in serbo per noi.


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